La sua bottega non è La piccola bottega degli orrori e lui non è certo Seymour. Non è un frutta-e-verdura, piuttosto una mesticheria dove gli strumenti sono i libri, scaffali di libri rari, prime edizioni, titoli introvabili che costituiscono una barriera contro la violenza e una cultura che, priva di un sostrato educazionale, sembra portarci a grandi passi verso un altro Fahrenheit 451.

Vogliamo parlarvi di « 900dicarta» in via Acqui 9 a Roma, una libreria antiquaria che è un po’ lo scrigno delle meraviglie per appassionati, lettori, studiosi, feticisti della carta e, ancora, per bibliofili e bibliomani. Ci si può perdere tra titoli dimenticati e introvabili appunto, affastellati con cura quasi maniacale da Archie Remo Pavia ma definirlo commercio è già riduttivo, non spiega, non fa luce su un’attività atipica, che regala squarci di infinito ad anime in cerca di nuovi approdi.

Per entrare nel mistero della bottega bisogna conoscere Archie e la sua odissea, una continua navigazione a vista nei mari agitati di un’esistenza raffinata. Già, per quanto il suo rimpianto sia quello di non aver viaggiato molto, Archie è un marinaio di terra, passato attraverso variegate avventure che lo portano a definirsi «mai felice mai disperato».

Comincia come portiere d’albergo (l’esperienza più eclatante e curiosa fu all’attuale «Colonna Palace» dove, fra i molti altri, accompagna al piano Adriano Celentano il quale, quasi per non vederlo piegare sotto il fardello del suo bagaglio, glielo toglie di mano e cominciano a parlare dei massimi sistemi facendo avanti e indietro per il corridoio e, ad un certo punto, manca poco che sia Archie ad entrare in stanza e Adriano a tornare alla conciergerie) per poi diventare, dopo una vera militanza sul campo, investigatore privato con tanto di pipa (ma senza il deerstalker alla Sherlock Holmes). Gli è giovato lo studio dei caratteri, la frequentazione dei clienti, delle loro esigenze e dei loro tic. La sua agenzia, nel tempo, non sarà sempre affollata da mogli tradite ed eccolo allora inventarsi un futuro da gallerista ma, pure, di animatore didattico, e poi di animatore culturale fino ad approdare come giornalista alla Scena illustrata. Si darà, parafrasando Flaiano, definizioni le più articolate: «un uomo di belle speranze andate a male», un «inadeguato a tempo pieno» e, ancora, «un collezionista cronico di carriere lasciate a mezz’asta».

Ama Majakovskij e Breton, adora Cesare Pavese che lo ‘condurrà’ per mano nelle amate Langhe e dal quale gli deriverà un male di vivere inspiegabile visto che il nostro Ulisse farà presto ritorno ad Itaca e costruirà qui una vita solida insieme ad una amatissima Penelope (Chiara) e ad un omerico Davide (Telemaco). Archie è stato tutto e il contrario di tutto. Pubescente collezionava modellini storici di vetture (le Politoys prima e poi le Corgi), da adulto automobili vere tra le quali spicca una Panhard PL 17 chiamata, con vezzo kinghiano, Christine. Già, le reminiscenze letterarie. Perché Archie diventa animatore di un circolo culturale in Trastevere ma, anche, attore e regista di una compagnia teatrale che porterà in scena , soprattutto, In alto mare di Slawomir Mrozek. È la storia di tre uomini alla deriva che, una volta finiti i viveri, dovranno escogitare un marchingegno per sopravvivere, ciascuno a scapito degli altri. A proposito di Ulisse. L’ambiente del teatro gli fa frequentare un personaggio irripetibile come Simonetta Bardi e poi Massimo Franciosa (La fiera letteraria).

La libreria gli consentirà di intessere rapporti amicali e legami profondi con molti scrittori. Parliamo di Carlo Bernari, di Michele Prisco, di Bufalino, dei poeti Elio Filippo Accrocca e di Giorgio Caproni nelle sue peregrinazioni a Monteverde; corrisponderà con Eugenio Scalfari e Piero Ottone, con Elvira Sellerio; la frequentazione con Mario Lunetta e Giorgio Petraglia sarà formativa ma lo scrittore al quale sarà più legato (intercorre tra loro un carteggio cospicuo) è Guido Ceronetti che gli farà spesso visita nella sua bottega e con il quale manterrà i rapporti fino alla fine.

Uomo di raffinata cultura, Archie affiderà ad un piccolo editore alcuni suoi scritti tra i quali eccelle, a nostro modesto parere, Inventario delle fotografie mai scattate, una autobiografia pervasa da un sentimento indescrivibile di saudade, laddove le ‘fotografie mai scattate’ altro non sono che le occasioni mancate, un abecedario troppo spesso incespicante alla ricerca del bandolo della matassa ormai perso nei labirinti di una città divenuta troppo presto metropoli tentacolare.

La prosa di Archie Pavia ricorda il periodare proprio di Proust e ci accompagna lungo le stazioni di una vita ricca di fermenti, di avvenimenti, di incontri eppure sempre sottolineata da una malinconia inspiegabile o, meglio, indecifrabile come se alla fine del ‘giallo’ fossimo convinti della sua soluzione ma la soluzione si allontana sempre come rimandando ad un altro capitolo, questo sì conclusivo ma dove è assente la speranza di decifrare il non detto, la parola lasciata in sospeso, una madeleine che ci avrebbe svelato l’arcano ma è statica nella sua indecifrabilità: del pensiero, del ricordo.

Si è come si è, ciascuno canta la propria infanzia e la propria adolescenza secondo il sentire di quei momenti irripetibili eppure legati a filo doppio con il disagio che quei momenti porteranno con sé. L’adolescenza, i primi amori, gli incontri della maturità, la perdita dell’innocenza, il sesso maturo, tutte stagioni obbligate e comunque rispettate, vissute con l’empito e la meraviglia della prima volta e nonostante tutto abbarbicate per sempre al ricordo che sempre affiora come un memento mori e rende come indigesto il naturale e spesso sereno trascorrere del tempo. Il collezionismo come vezzo maniacale in una esistenza che sentiamo come presa in prestito, come una sorta di fermo-immagine. Lontano dal manoscritto di Potocki, pure Inventario… si propone come messaggio affidato ad una bottiglia. Confesso che ho vissuto, certo, ma non tutto mi è stato poi così chiaro e manifesto e, forse, l’unica cosa che mi conforta è che «anche il più stanco dei fiumi trova riposo nel mare».

Difficile comprendere perché in Pavia l’utopia sia divenuta chiusa distopica. La dislessia che il fermo fotografico produce è quella che ha fatto avvicinare Archie al grande Mario Dondero, di cui il Nostro è stato amico per lungo tempo.

Entrare nel ‘vascello cartaceo’ di via Acqui non implica l’obbligatorietà di un acquisto. Dialogare con Archie Pavia è un’esperienza in sé e mossi dalla curiosità dei volumi affastellati nello scrigno, parlerete con lui di letterature che hanno accompagnato le nostre notti insonni, i pomeriggi in cui ci affacciavamo, ancora inconsapevoli, sul ‘borgo antico’. Magari, se avrete trovato un libro antico, quello che mancava alla vostra formazione, dopo averlo carezzato come si fa con un inconsapevole figliol prodigo, chiedetegli anche il suo Inventario