Ora che la richiesta di recuperare i 900 milioni considerati «aiuto di stato» è formalizzata, la trattativa Ita-Alitalia potrebbe cambiare. Dopo giorni di anticipazioni, ieri Bruxelles ha ufficializzato la decisione sui due prestiti ponte concessi nel 2017 dal governo Gentiloni – ora commissario europeo agli Affari economici – elargiti dal ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda – ora candidato sindaco a Roma – ad Alitalia in gestione commissariale: per la commissione europea per la Concorrenza guidata da Margrethe Vestager si tratta di «aiuto di stato» e il governo deve chiedere ai commissari di restituirli.
L’argomento era già stato soppesato nella lunga trattativa per la nascita di Ita che difatti vaticinava da tempo la «multa a Alitalia» e sapeva di non esserne chiamata a rispondere proprio in base a quella «discontinuità» richiesta da Bruxelles come condizione per dare il via libera alla nascita della nuova compagnia aerea.
Ma se per Ita era esiziale evitare di essere chiamata a rimborsare i soldi dati a Alitalia, per i conti dello stato italiano la situazione non cambia: si tratta sempre di 900 milioni in meno a bilancio di un’azienda pubblica e dunque del bilancio statale. Insomma: una partita di giro a somma zero che favorisce solo Ita.
Il problema però riguarda direttamente la «trattativa privata» che la stessa commissione Ue ha concesso a Ita per comprare il cosiddetto «perimetro aviation» di Alitalia. Se fino a ieri Alitalia aveva un bilancio in rosso e asset da vendere, oggi si trova con 900 milioni da rimborsare in più e i commissari dovranno trovare il modo di farlo. Se è vero che la vecchia compagnia dal 15 ottobre sarà liberata di molti costi di funzionamento e che quasi certamente fornirà i servizi di handling e manutenzione a Ita – in vista dei bandi di vendita a cui la nuova compagnia potrà partecipare solo in cordata – è altrettanto vero che pensare di vendere 52 aerei e parte degli slot – fra l’altro perdendo tutti gli altri – per una «cifra simbolica» o l’euro da molti media annunciato non è più accettabile per i tre commissari – Daniele Santosuosso e Gabriele Fava, nominati a marzo per affiancare Alessandro Leogrande – chiamati a rimborsare i creditori tramite «dismissioni». In più nell’unico comunicato fatto per smentire la vendita a un euro, i commissari sottolineavano come l’offerta «verrà valutati da un perito terzo indipendente, nominato ai sensi di legge», proprio per cautelarsi dal rischio di «danno erariale», molto concreto nel vendere a prezzi di molto al di sotto dei valori di mercato.
La valutazione non è ancora stata fatta, così come l’ufficializzazione della vendita. E molto potrebbe cambiare in questi giorni.
Per Alitalia lo spettro del fallimento è comunque vicino – in ballo ci sono anche i 400 milioni di prestiti ponte del 2019 -, ma gli strascichi giudiziari andranno certamente avanti per anni.
A molti questo finale ricorda la bad company inventata da Berlusconi per regalare la vecchia Alitalia ai «capitani coraggiosi». La differenza principale è una: in quel caso tutti i lavoratori della vecchia Alitalia transitarono per legge nella nuova compagnia. Oggi ne passeranno solo 2.800 su 10.500 con la risibile promessa di farli aumentare a 5.800 nel 2025. Sempre che, come l’altra volta, Ita nel frattempo non sia fallita. Facendo un favore a Ryanair, Lufthansa e AirFrance, giganti che hanno caldeggiato alla Vestager questa complicata trama.