Acqua, è la terza grande questione che sta scoppiando nelle mani della neo sindaca pentastellata di Roma Virginia Raggi, dopo i rifiuti e il trasporto pubblico.

Nel mese scarso della sua sindacatura Raggi ha fatto in tempo a mandare su tutte le furie 81 colleghi con la fascia tricolore di città e paesi confinanti con l’area metropolitana: 81 sindaci del Reatino e della Sabina che stamattina alle 10 manifesteranno simbolicamente alle sorgenti del Peschiera, secondo bacino idrico più grande d’Italia che dà da bere a due terzi delle case della capitale. Acqua buona, la migliore secondo le valutazioni di Altroconsumo dal punto di vista organolettico e del sapore, che la sindaca Raggi ora rivendica come «romana», al pari di Benito Mussolini che l’acquedotto del Peschiera costruì dandone concessione libera al governatorato di Roma nel 1926.

I tempi però sono cambiati da allora. In linea con la legge Galli e con la direttiva comunitaria del 2015 che stabilisce un costo ambientale con cui risarcire i territori per il mantenimento della qualità della risorsa di cui si usufruisce, la Regione Lazio ha approvato una delibera lo scorso 17 maggio che riconosce all’ambito territoriale Tre, quello dove insistono le sorgenti del Peschiera, il diritto a un «ristoro», cioè un indennizzo per la tutela delle acque che finiscono nei rubinetti dei romani.

La delibera della giunta Zingaretti, che cerca di chiudere un contenzioso tra la provincia di Roma e quella di Rieti la cui data d’inizio è il 1996 – anno in cui è scaduta la concessione mussoliniana – prevede anche il quantum da pagare per gli anni di acqua gratis. Gratis per Acea, sia bene inteso – la società mista che il Comune di Roma controlla al 51 per cento dove recentemente i privati della compagnia francese Suez sono cresciuti fino al 16 per cento e dove resta comunque solidamente insediato anche il gruppo Caltagirone, in quanto immobiliarista vero «re» di Roma – ma non gratis per i romani, che comunque la bolletta della ex municipalizzata hanno dovuto sempre pagare e anzi, ora si apprestano a salati rincari.

Acea dunque si troverebbe a dover pagare dal 2016 36 milioni di euro rateizzati in quattro anni per il pregresso e poi una sorta di canone d’utilizzo calcolabile fino a 8 milioni di euro l’anno.

Considerando le circa 4 milioni di utenze idriche, si tratterebbe al massimo di due euro di rincaro all’anno ad abitazione. Ma il punto è il diritto al «ristoro» e la titolarità della concessione, che Rieti e gli altri comuni dell’area da sempre rivendicano e su cui, in caso di mancato accordo, la Regione Lazio alla scadenza del 26 settembre si è impegnata a esercitare i suoi poteri sostitutivi.

A maggio, con la delibera fresca di stampa sulla gazzetta regionale, l’Acea non sembrava intenzionata a lamentarsi per la cifra dovuta, quasi la metà di quella inizialmente richiesta. Ora invece, appena si è insediata in Campidoglio Virginia Raggi, sono partiti due ricorsi al Tar del Lazio. Roma e i comuni dell’area metropolitana si rifiutano di pagare.

Il sindaco di Rieti, Simone Petrangeli di Sel (nella foto), capofila dei sindaci «ribelli», è esterrefatto: «La Raggi con il suo ricorso non solo contravviene alla civile convivenza e alle leggi in materia, ma nega il risultato del referendum sull’acqua. Noi abbiamo scelto una società interamente pubblica e quei soldi dovuti ci servono per investire sulla rete idrica e dei nostri acquedotti». Il paradosso poi è che alcuni dei comuni «produttori» dovrebbero ricomprare l’acqua da Acea, pagandola a caro prezzo.