I «diritti fondamentali delle persone» vengono prima della finanza. Un concetto semplice e al tempo stesso rivoluzionario in quest’epoca neoliberista in cui «l’economia comanda su tutto». Un concetto che unisce per la prima volta un fronte di sinistra largo e plurale: da Fassina a Landini, da tutta Sel a Civati, dal terzo settore all’associazionismo cattolico, dall’Altra Europa di Tsipras a – chissà – perfino una parte del M5s. «Uno schieramento politico – per dirla con le parole di Stefano Rodotà – che abbia la capacità di farsi valere». E per farlo punta a cambiare l’articolo 81 – e altri – della Costituzione e quel pareggio di bilancio che è «vulnus politico». Lo strumento scelto è quello della legge di iniziativa popolare, strumento finora spuntato – «in 15 anni da parlamentare non ne ho mai discusso uno», ricorda sempre Rodotà – che dovrebbe essere rilanciato fortemente dal nuovo regolamento della Camera: il parlamento dovrà obbligatoriamente discuterli in tempi certi.

Lunedì il testo che prevede di modificare anche gli articoli 97 – pubblica amministazione – e 119 – autonomie territoriali – inserendo in entrambi la dizione-condizione «nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone» e di abrogare la parte della legge Costituzionale 20 del 2012 che specifica i criteri di attuazione del pareggio di bilancio, è stato depositato lunedì in Corte di cassazione. Dal primo ottobre inizierà la raccolta delle firme. La normativa vigente prevede che ne servano solo 50mila, l’obiettivo però è molto più ambizioso: «entrare nel dibattito pubblico», come sintetizza il giurista Gaetano Azzariti che materialmente ha scritto il testo.

La rilevanza politica sta proprio nella presenza di molti esponenti della minoranza Pd. Al di là delle critiche comuni al Jobs act e all’ulteriore modifica dell’articolo 18, la loro presenza segnala un quadro politico realmente modificato: «il cambiamento lo vogliono tutti ma va aggettivato, deve essere progressivo e non regressivo, con più diritti e non meno». Sentire ad esempio Stefano Fassina dire che «abbiamo bisogno di un radicale cambiamento di paradigma, serve ripoliticizzare l’economia, che non è una scienza neutra, astratta dalla politica», che «ci sono energie trasversali in Parlamento che vogliono cambiare in questo senso la politica», fa una certa impressione.

Se i deputati di Sel Giulio Marcon e Giorgio Airaudo rilanciano la loro idea di «un Social compact che sostituisca il Fiscal compact», i veri mattatori della conferenza stampa di presetazione sono Rodotà e Landini. Il primo – che si autodefinisce «maniaco dei diritti» – ricorda i «5 milioni e mezzo di firme raccolti da Sergio Cofferati e la Cgil nel 2002 dopo la difesa dell’articolo 18» come esempio di «buona politica» che oggi va declinata contro «la super Costituzione dettata dall’economia» che utilizza «un attacco ai diritti che non è più neanche dissimulato». Per cambiare «la cultura politica del Paese» va dunque detto con chiarezza che «quelle poche risorse esistenti vanno utilizzate per tutelare i diritti», sennò si arriva ad «usarle per il ponte di Messina».

Landini invece sottolinea come «l’iniziativa sia in continuità con “La via maestra” (che riempì piazza del Popolo lo scorso ottobre, ndr) e cioé con l’idea di cambiare il paese attraverso l’applicazione della Costituzione». Un argomento che si salda perfettamente con la manifestazione già convocata dalla Fiom per il 18 ottobre: «Offriamo quella piazza per parlare dell’iniziativa perché se noi siamo tornati in Fiat lo dobbiamo alla Corte Costituzionale che ha sancito un diritto e non alla politica». Quella politica che «oggi vuole riformare il paese con la contrapposizione, mentre noi vogliamo unirlo, allargare l’alleanza per cambiarlo davvero».

I promotori ci tengono poi a sottolineare come l’iniziativa non sia «assolutamente in contrasto» con i quattro referendum abrogativi Stop austerità su cui si stanno ancora raccogliendo le firme. Rodotà, Airaudo e gli altri promotori avevano avvertito della presentazione chi «ha fatto una scelta diversa». La differenza sta nel fatto che i primi non credono che la Corte di cassazione darà il via libera ai referendum e quindi hanno cercato «uno strumento diverso».

Se qualche velata accusa «di non essersi troppo impegnati nella raccolta delle firme» traspare dalla Cgil, proprio il segretario confederale Danilo Barbi ci tiene a precisare che «esiste una complementarità di senso fra le due iniziative». A giorni – entro il 30 settembre – si scoprirà se le 500mila firme necessarie saranno raggiunte – al momento pare assai difficile – in ogni caso tutti assieme dal 1° ottobre si ricomincerà a raccoglierle con lo stesso obiettivo: abbattere la cultura neoliberista imperante.