C’è il famoso accordo di maggioranza, che aveva previsto alcune condizioni perché il Pd e gli altri alleati dei 5 Stelle dessero il via libera al taglio dei parlamentari. Il sì c’è stato ma le condizioni, chiamate «riequilibri», non si sono realizzate. Non si è realizzata anzi non è stata neanche approvata in commissione quella legge elettorale a base proporzionale che dovrebbe recuperare – ma colo un po’ – la perdita di rappresentatività che certamente deriverà dal taglio lineare dei parlamentari.
E non si sono realizzate le altre riforme costituzionali che, giusto o sbagliato che sia, Pd e Leu avevano considerato sufficienti a «riequilibrare» le istituzioni: l’equiparazione dell’elettorato attivo e passivo di camera e senato, la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica e la già citata introduzione della base circoscrizionale anche per l’elezione del senato.
Ma dove si avverte tutta l’incompletezza della riforma costituzionale voluta dei 5 Stelle è nel mancato aggiornamento dei regolamenti parlamentari. Che sono stati scritti per i numeri attuali dei senatori e deputati e prevedono una serie di soglie a garanzia soprattutto delle minoranze. Trenta deputati, per esempio, oggi possono chiedere l’inversione dell’ordine del giorno, chiedere la votazione a scrutinio segreto, presentare subemendamenti agli emendamenti del governo: ovviamente 30 su 630 è molto diverso rispetto a 30 su 400.
Le liste più piccole avranno difficoltà a formare un gruppo (20 deputati e 10 senatori), persino a entrare in tutte le attuali 14 commissioni e nelle giunte. In definitiva la vita delle minoranze sarà più difficile. I regolamenti, si dice, possono essere cambiati. È vero, ma a parte che non sarà facile – serve la maggioranza assoluta e c’è il voto segreto – non ci si doveva pensare prima?