Tripoli e Bengasi sono fuori controllo. Non bastava la vendita illegale di greggio al cargo nordcoreano Morning Glory che ha causato la sfiducia del parlamento e la fuga dell’ex premier Ali Zeidan lo scorso marzo. Sul controllo dei pozzi petroliferi continuano a cadere gli esecutivi libici.

E così, lo scorso 8 aprile, il giorno precedente all’entrata in vigore dell’accordo con i ribelli per la ripresa delle attività di estrazione nei terminal petroliferi della Libia orientale, il premier pro tempore, il militare Abdullah al Thinni ha rassegnato le dimissioni. Tripoli è senza un governo e la furia delle milizie imperversa in tutto il paese. Solo ieri in uno scontro a fuoco nei pressi di una caserma, sono morti cinque soldati e dieci persone sono rimaste ferite a Bengasi. Secondo fonti della sicurezza libica, un gruppo di uomini armati ha aperto il fuoco contro un nugolo di militari: un soldato è morto sul colpo e altri sette sono rimasti feriti.

Nella notte di giovedì, gli uomini delle forze di sicurezza avevano sequestrato un veicolo carico di armi, i miliziani hanno tentato di sottrarlo ai soldati, nello scontro il mezzo è andato in fiamme, causando la morte di altri quattro militari. Secondo la stampa locale, nella rappresaglia erano coinvolti jihadisti del gruppo Ansar al Sharia. I miliziani avrebbero cercato anche di fare irruzione nella caserma. Per oltre un’ora si sono udite esplosioni, quando poi le forze speciali sono intervenute per mettere fine agli scontri. Lo scorso martedì, due militari sono morti e due sono rimasti feriti in una detonazione, provocata da un attentatore suicida, in una base dell’esercito a Bengasi.

Secondo fonti mediche, il kamikaze si è fatto saltare in aria a bordo della sua auto all’ingresso della base militare.
Nelle stesse ore a Tripoli, le audizioni del Congresso generale nazionale (Cgn) dei candidati alla guida del nuovo esecutivo si sono chiuse nel sangue. Un gruppo di miliziani armati ha assaltato la sede del parlamento per impedire le votazioni per la designazione del nuovo premier. L’assalto ha provocato numerosi feriti ed ha costretto i deputati ad evacuare l’aula.

L’ex ministro della Difesa, Al Thinni, in carica per appena cinque giorni, aveva deciso di rinunciare dopo le minacce subite e un grave attentato che aveva colpito la sua famiglia. Sono ben sette i candidati a succedergli, tra loro spiccano l’imprenditore Ahmed Mitig, 40 anni di Misurata, e il docente dell’Università di Bengasi, Omar Al Hassi. I due avevano superato gli altri candidati al primo scrutinio pur non raggiungendo la maggioranza qualificata necessaria. In particolare Mitig aveva ottenuto 67 voti su 152 e si avviava ad essere nominato nuovo premier. Nel momento della votazione decisiva, i miliziani hanno fatto irruzione nell’aula.

È iniziato uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza, mentre i deputati fuggivano dall’edificio. Il voto è stato rinviato a domani, 4 maggio. Il governo pro tempore dovrebbe rimanere in carica fino alle elezioni parlamentari del prossimo autunno. Il prolungamento del mandato dell’assemblea, oltre la sua scadenza naturale di febbraio, decisa dai deputati libici, aveva provocato numerose preteste di movimenti e attivisti a Tripoli e Bengasi. Non è la prima volta che il parlamento libico viene attaccato dalle milizie. Nell’assalto dello scorso due marzo sono stati uccisi due deputati.

Infine, sono partiti i lavori dell’Assemblea costituente libica, nella città orientale di Baida. Inizialmente, la commissione doveva essere composta da sessanta membri. Da una parte, la bassa affluenza al referendum costituzionale di febbraio, dall’altra, le precarie condizioni di sicurezza hanno permesso solo un’elezione parziale dei suoi componenti. Ali al Tarhouni ne è stato eletto presidente. Secondo il giurista, Tawfiq al Shahaibi, poiché l’assemblea resta eletta parzialmente «chiunque potrebbe sfidarne l’operato presentando una petizione alla Corte costituzionale». L’assemblea ha quattro mesi per scrivere la nuova Costituzione. Non solo, la commissione parlamentare bilancio ha approvato tagli per oltre un terzo al budget per le infrastrutture a causa della grave diminuzione dei profitti dalla vendita di petrolio, registratesi negli ultimi nove mesi.