E meno male che c’era il «gordo de Navedad». Il rituale più importante delle vacanze natalizie in Spagna, la lotteria nazionale, con tutte le sue liturgie, bimbi che cantano numeri e premi, numeri vincitori condivisi da amici e colleghi (qui si dividono in «decimi»). Dopo la tesissima campagna elettorale, questa distrazione ha permesso di mettere da parte la guerra che tornerà a scatenarsi dopo le ferie.

MA GLI OCCHI DEL MONDO politico erano tutti puntati su quei numeri, su quei 70 scranni (su 135) che il blocco indipendentista ha ottenuto giovedì, e sui 37 che ha ottenuto Inés Arrimadas di Ciudadanos. Gli indipendentisti, nonostante ne abbiano persi 2, si dichiarano vincitori della guerra contro l’art. 155 e Mariano Rajoy.

Giovedì notte, da Bruxelles, il presidente deposto Carles Puigdemont, forse vittima della sua stessa retorica è arrivato a dire che «lo stato spagnolo è stato sconfitto» e che bisogna subito «liberare i prigionieri politici». Ma siccome poi ha aggiunto che è l’ora della politica e del dialogo (cosa che Mariano Rajoy non ha mai voluto fare), ha anche proposto al presidente del governo spagnolo un incontro fuori dalla Spagna (già, perché in Spagna sulla sua testa pende un ordine di arresto). Nella conferenza stampa di ieri Rajoy ha risposto indirettamente dicendo che semmai lui incontrerà la “vincitrice” delle elezioni, Inés Arrimadas, leader del partito che ha ottenuto più voti, o comunque «la persona che raccolga le sue credenziali per essere deputato, prenda possesso del suo seggio, si presenti per essere eletto presidente e venga eletto», tutte cose che nessuno dei due leader indipendentisti può fare, giacché se Puigdemont mette piede in Spagna verrà arrestato, e il leader di Esquerra Junqueras è in carcere da quasi due mesi. Per ora nega di voler convocare elezioni anticipate in Spagna, ma questo, con Ciudadanos ringalluzzito ma l’opposizione di socialisti e Podemos indebolita, non è uno scenario da scartare.

DA PARTE SUA ARRIMADAS, che si gode una vittoria a tutto tondo, ricorda agli indipendentisti che giovedì i catalani hanno certificato che non sono la maggioranza: «Il procés indipendentista ne esce indebolito», ha detto. E ha dato la colpa alla legge elettorale per la distorsione che fa sì che gli indipendentisti ottengano una maggioranza di seggi senza avere una maggioranza di voti. Peccato che, come ha dimostrato eldiario.es, se ci fosse un collegio unico e non provinciale come oggi (che distorce la proporzionalità), è vero che gli indipendentisti perderebbero la maggioranza, ma anche Ciudadanos perderebbe 2 seggi.

IERI LA LEADER “ARANCIONE” si è detta certa che Esquerra Republicana e Junts per Catalunya non riusciranno ad arrivare a un accordo. In effetti, non è molto chiaro cosa accadrà superata la sbornia e l’euforia. Puigdemont esce decisamente rafforzato, ma Esquerra ha giocato tutta la campagna sull’idea che il president doveva essere Junqueras: con praticamente lo stesso numero di voti (anche se JxC ha due seggi in più) sarà duro stabilire a chi spetta il trono. Tanto più che i 4 seggi della Cup saranno fondamentali, come già nella scorsa legislatura, per la scelta finale. E la Cup, sconfitta dalla retorica del «riportiamo il presidente legittimo a casa» (JxC) o «liberiamo i prigionieri politici» (Erc), ha già detto che appoggerà solo un Govern che «faccia la repubblica» e ignori il quadro legale spagnolo.

Oltretutto, almeno se le questioni giudiziali non cambiano, né Puigdemont, né Junqueras saranno realisticamente in grado di essere presidenti. A meno naturalmente – cosa che non è da escludersi visto quanto accaduto negli ultimi mesi – non si voglia vivere in una realtà parallela: un governo in esilio, o un governo presieduto dal carcere.

LA DURA REALTÀ è che l’egemonia politica, sia nel blocco indipendentista che in quello spagnolista, ce l’hanno due partiti di destra, gli eredi della corrottissima Convergència democràtica (che oggi si sono mimetizzati in JxC), e Ciudadanos, che nonostante tenti di nasconderlo in Catalogna, è un partito marcatamente di destra, e perfino più entusiasta del Pp nel suo anticatalanismo. Ben un quarto degli elettori lo appoggiano.

Catalunya en comú–podem non è riuscita a imporre un cambiamento di asse del discorso, da quello nazionale a quello sociale. Ieri il candidato Xavier Domènech ha detto chiaro che non appoggerà mai un governo indipendentista per le politiche che JxC rappresenta. I socialisti, invece, delusi dai risultati assai meno rosei del previsto, sono rimasti in silenzio tutto il giorno.

IL PANORAMA non si presenta per nulla semplice: sulla carta gli indipendentisti potrebbero tornare a proporre un governo fotocopia del precedente, ma nella realtà non sarà possibile. Senza contare il problema degli 8 deputati che non potranno votare (3 in carcere e 5 all’estero). Se non cambia qualcosa, la maggioranza sfumerebbe. E i giochi potrebbero riaprirsi. Intanto, il 155 rimane in vigore.

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Mariano Rajoy ieri alla Moncloa (foto LaPresse)