I settant’anni dell’Anpi sollecitano qualche riflessione sulla funzione che questo organismo ha assolto e ancora assolve nell’ambito dell’associazionismo combattentistico. Rispetto a questo tipo di associazionismo, che annovera soprattutto associazioni d’arma, l’Anpi si è sempre distinta per la sua vocazione non reducistica, non corporazione d’arma sul filo di una tradizione maturata nella solidarietà della trincea o dell’inquadramento in formazioni regolari, ma prolungamento di una esperienza tipica di un esercito di irregolari.

In sostanza, l’Anpi non poteva non rispecchiare le caratteristiche del partigianato fatto di militari-militanti, non chiamati alle armi per classi di leva, ma di volontari mossi da impulsi patriottici o politici o anche solo da istinto di difesa e di conservazione, tutti alla fine coinvolti in un processo collettivo di politicizzazione.

Muovendo da queste premesse, la spinta dei partigiani all’associazionismo non poteva provenire che dall’aspirazione a preservare il patrimonio di idee e di esperienze che era stato alla base della scelta di operare nella Resistenza. Con questo spirito, che per decenni è stato incarnato dal suo primo presidente, Arrigo Boldrini, il leggendario Bulow, l’Anpi ha inserito il suo originale contributo tra le forze politico-culturali che hanno alimentato la ricostruzione democratica del nostro paese dopo il fascismo. Se in qualche momento si può essere generata l’impressione che nell’Anpi si esprimessero posizioni di chiusura verso una sempre più aperta e critica considerazione dell’esperienza stessa della Resistenza, all’Anpi va riconosciuta la funzione fondamentale che essa ha svolto nel custodire la memoria della Resistenza.

Diremmo che essa ha assolto e assolve una duplice missione: da una parte tenere viva e tramandare la memoria; dall’altra assicurare con la sua presenza nella società civile la partecipazione alla vita democratica facendosi tutrice dei valori che dalla lotta di liberazione si sono tramandati nelle istituzioni e nella società, con particolare riferimento alla valorizzazione della Costituzione.

Rispetto ad entrambi questi compiti la soglia dei settant’anni impone certamente se non un momento di ripensamento un processo di rinnovamento. L’elemento più decisivo di questo processo deriva dal ricambio generazionale sottolineato dal fatto che già da molti anni l’Anpi si è aperta all’associazione di nuovi affiliati che non provengono più dalle generazioni che hanno vissuto la Resistenza in persona prima. Come nel caso di altre associazioni analoghe, penso all’Aned degli ex deportati, anch’esse depositarie di archivi e memorie di insostituibile valore, in questa seconda fase della sua vita anche l’Anpi si propone nel pluralismo della società, senza pretendere di avere il monopolio della memoria della Resistenza, come un indispensabile punto di riferimento, riserva di energie e di idee, destinato ad accompagnare la crescita di una democrazia che deve trarre giorno per giorno conferma della sua vitalità dalla consapevolezza delle proprie origini.