Oggi in Brasile si festeggia l’indipendenza dall’Impero portoghese avvenuta il 7 settembre 1822. Alle parate militari in diverse città del Paese dal 1995 si sono aggiunte quelle del Grito dos/as Excluídos/as – promosse da vari movimenti sociali impegnati in diverse cause a favore degli esclusi. Con l’intenzione di superare il patriottismo passivo in vista di una cittadinanza attiva e di partecipazione.

DICE LA LEGGENDA che Don Pedro, circondato dalle truppe ai margini del fiume Ipiranga, abbia gridato: «Indipendenza o Morte!». E forse a questo si ispira la retorica di Bolsonaro, che per il 7 settembre, dalle crescenti minacce di golpe passa a quella dell’eroe della rivoluzione cubana. «Mi restano 3 prospettive per il futuro: essere arrestato, essere ucciso o la vittoria». Ironicamente, terrorizzato dall’incubo comunista, il presidente brasiliano si ritrova a incarnare un ridicolo fantoccio del Che in preda a un delirio di onnipotenza, come spesso siamo ci siamo abituati a vederlo in questi tre anni, per chiamare i suoi sostenitori nelle strade.

QUELLO CHE PERÒ PREOCCUPA dei richiami alle manifestazioni previste oggi è quello alla violenza. Un’enfasi a cui Bolsonaro e famiglia non si sono mai sottratti, basti pensare alla forma con cui il presidente e il suo clan hanno trattato l’esecuzione della consigliera comunale del Psol-Rj Marielle Franco, o inneggiato al torturatore della dittatura brasiliana Alberto Ustra nel processo di impeachment della ex presidente Dilma Rouseff. Cercando di riaffermare le basi del suo elettorato, Bolsonaro riunisce leader della chiesa evangelica, polizia e personale militare di riserva, parte dell’agrobusiness e camionisti autonomi, minacciando di radicalizzare la data del 7 settembre.

I CAMIONISTI RIVENDICANO riduzione del prezzo del diesel, riadeguamento della tabella merci e riduzione dei pedaggi. I pastori evangelici chiamano i fedeli a manifestare contro l’avanzata di valori che si oppongono al loro fondamentalismo, in primis contro i diritti LGBT e in difesa della «sacra famiglia tradizionale brasiliana». Oltre a persecuzioni razziste contro religioni di origine indigena e afro-discendente. La polizia, insieme a militari convocati anche dalle riserve, come il reazionario Clube Militar, manifesteranno in difesa di interessi corporativi e anti-sinistra e contro il Tribunale supremo federale (Stf), con una richiesta di golpe basata sul reazionario articolo 142 della Costituzione, che legittimerebbe l’intervento dei militari contro altri poteri rei di agire in modo non ordinato. Infine tra i manifestanti ci saranno attivisti di destra e di estrema destra di stampo fascista, in linea con la retorica golpista e conservatrice di Bolsonaro, come Nas Ruas, Avança Brasil e Foro Conservador, tra gli altri.

La speranza è che, come spesso sta accadendo, le manifestazioni si rivelino un fallimento. Un sondaggio dell’Instituto Atlas Intelligence mostra che il 30% degli agenti della polizia militare intervistati intende partecipare «con certezza» alle proteste di oggi a favore di Bolsonaro e contro la Corte Suprema. Il 44% ha dichiarato invece di non avere questa intenzione, il 15% ha detto che probabilmente non lo farà, il 5% che «forse» parteciperà e un altro 6% non risponde.

RESTA PERÒ L’INCOGNITA del possibile scontro con gli integranti dell’accampamento «Luta pela Vida» a Brasilia, dove migliaia di indigeni si trovano in attesa della decisione della Corte Suprema sul Marco Temporal, prevista per domani 8 settembre, che potrebbe significare la legalizzazione del furto di terre storicamente appartenenti ai popoli nativi. Il Grito ha invece dichiarato di aderire alla campagna nazionale #ForaBolsonaro, confermando mobilitazioni in 159 città brasiliane oltre che in Germania, Italia, Portogallo e Inghilterra.