Nel mondo ci sono 65,6 milioni di profughi in fuga da guerre, violenza, soprusi, povertà. Vent’anni fa erano quasi la metà: 33,9 milioni. Ma paradossalmente aumentano le spese in sicurezza per le frontiere: ben 16 miliardi e 700 milioni con un trend di crescita annua stimato nell’8 per cento.

Sono solo due dei dati contenuti nel quindicesimo rapporto “Diritti globali” e spiegano benissimo il titolo scelto quest’anno: «Apocalisse umanitaria».

Se da anni il dramma globale dei migranti ha come epicentro il Mediterraneo, quest’anno sono state le politiche e gli accordi del nostro governo con la Libia a creare un elemento nuovo e ancor più preoccupante: la criminalizzazione delle organizzazioni non governative e la quasi totale negazione dell’asilo politico, definito giustamente «chimera»: solo il 5 per cento delle domande del 2016 sono state accolte a pieno titolo in Italia.

«Una apocalisse umanitaria incombente anche perché le guerre sono proliferate – spiega Sergio Segio, ideatore e curatore del volume con la sua associazione SocietàINformazione – e hanno due caratteristiche inedite: la percentuale delle vittime civili aumenta sempre più fino a toccare il 95 per cento, mentre nella seconda guerra mondiale era del 50 per cento, e i conflitti tendono a non chiudersi mai come dimostrano i casi della Siria, dell’Iraq e dell’Afghanistan per non parlare di Libia e Somalia».

Un quadro che rende ancora più urgente «costruire un mutamento di paradigma che deve partire dal sistema di sviluppo coinvolgendo però il maggior numero di individui – osserva Segio – il tempo per cambiare rotta è adesso, diversamente il futuro rischia di essere un buco nero in cui la governance cieca continuerà a tenere in piedi il castello di carte dominato dalla finanza».

Come da tradizione il Rapporto, sostenuto dalla Cgil e da una galassia di associazioni, si basa «sull’idea di interdipendenza dei diritti nell’epoca della globalizzazione» e mette dunque in rapporto economia, lavoro, diritti umani e ambiente.

I capitoli sui migranti dunque si legano a quelli sulla «crescita economica elusiva» «al tempo degli algoritmi», «il disordine globale», «la dolosa obsolescenza del pianeta» più il nuovo capitolo «In comune» che racconta «reti e pratiche dal basso» per dimostrare che «cambiare è possibile» alternando storie vicine come il Baobab di Roma con altre lontane, come la Coopamare in Brasile, cooperativa di raccoglitori di immondizia.

Il tema dominante però è quello dei migranti e le sue conseguenze, prima fra tutte «l’odio sociale nella società dell’esclusione». «Il tratto caratteristico dell’ultimo periodo è certamente la crisi della cittadinanza – commenta Marco De Ponte, segretario generale di Action Aid Italia – non si discute più, tutto viene deciso in modo opaco e così accade anche per la crisi migratoria. In Italia per gestire questo fenomeno ci sono 12mila microbandi sull’accoglienza senza nemmeno un database nazionale. Noi cerchiamo invece di investire su competenze e dialogo per cambiare le cose».

«Siamo davanti ad un genocidio nell’indifferenza anche da buona parte del mondo progressista perfino davanti alla tortura – sottolinea Patrizio Gonnella, presidente di Antigone – . La questione si lega agli spazi di agibilità delle Ong: non è possibile che proprio dall’Italia sia partita l’idea che chi vuole salvare vite umane sia cacciato della legalità, queste visioni securitarie fanno impallidire quanto successe a noi nel 2002: l’allora ministro Castelli ci fece cacciare dalle carceri perché sosteneva avessimo legami con gli anarco-insurrezionalisti, ma a nostra difesa si mobilitò anche la destra. Ora le Ong sono praticamente sole».

«Ormai il diritto penale è usato per ridurre l’agibilità delle Ong – gli fa eco Francesco Martone, portavoce della rete «In difesa di» – per reagire dobbiamo proteggere tutti coloro che fanno sentire la loro voce nel mondo a partire dagli attivisti a rischio, specie in America latina».

«Condividiamo questa avventura che consideriamo di grande importanza anche per il futuro – ha concluso la presentazione del volume di ieri pomeriggio il padrone di casa Fausto Durante, responsabile delle politiche internazionali della Cgil – . Nel mondo del lavoro in tutto il mondo i diritti calano, noi vogliamo invece che siano in capo alle persone e che siano riconosciuti per legge: per questo in Italia abbiamo presentato la Carta universale dei diritti».