Giornata di relativa calma sul fronte Corbyn. Non volendo prolungare l’increscioso sfoggio di trame e orditi di partito nel giorno dell’anniversario di quella colossale e insensata mattanza che fu la battaglia della Somma, i deputati laburisti ammutinati hanno osservato una tregua precaria. Momentum, il comitato nato per capitalizzare sull’elezione del segretario, appena nove mesi fa, ha organizzato una serie di piccoli raduni delle sedi Labour di Manchester, Plymouth, Liverpool, Exeter, Penzance sotto la bandiera ♯keepcorbyn.

La sfida ufficiale di Maria Eagle, che avrebbe dovuto avanzare la sua candidatura per scalzare lo sfiduciatissimo ma inamovibile leader, non si è ancora materializzata. Complice forse il fatto che un sondaggio di Yougov commissionato dal Times ha evidenziato che Corbyn, malgrado una consistente flessione nelle ultime settimane, mantiene un buon margine di consensi. Senza contare l’ondata di 60.000 nuovi iscritti al Labour nelle ore trascorse dal golpe interno – più dell’intera base dei Liberal-democratici – benché vada tenuto conto che possano essere in chiave anti e non pro. Il sondaggio mostra che a un confronto diretto fra Corbyn e un altro singolo candidato l’attuale leader vincerebbe di margine, 50 a 47 per cento.

Ma la chance di successo dei frondisti scende visibilmente quando al campione di membri del partito è stata prospettata la scelta fra Corbyn e alcuni dei papabili suoi concorrenti. Eagle, in particolare perderebbe con un 40% contro il 50%, il vice leader Tom Watson, che ha tenuto una linea attenta di mediatore fra gli sfiducianti e il leader con il 39% contro il 50% e Dan Jarvis con appena il 35% contro il 52%. Va anche tenuto conto che il sondaggio riguarda i membri a pieno titolo e non quelli acquisiti con l’iscrizione «tariffaria» a 3 sterline introdotta sotto il predecessore di Corbyn, Ed Miliband. Nel frattempo, si profila anche la candidatura di Owen Smith, che alcuni ritengono abbia più chance di Eagle.

Ma i guai mediatici continuano. Come se non bastassero tutti questi attacchi ai suoi danni da parte dei deputati e di tutti i giornali di destra, centro e pseudo-sinistra, ieri si è verificato un altro pericoloso – e increscioso – episodio che ha rinfocolato gli assalti alla sua leadership su cui s’insisteva con ammirevole zelo prima che il paese rotolasse fuori dall’Unione europea come da un’auto in corsa (sempre per colpa sua): l’affaire dell’antisemitismo.

Mercoledì era il giorno di presentazione dell’inchiesta interna del partito sulla presenza di antisemitismo in certe sue fila, cui Corbyn ha partecipato in veste di leader. Con la ridda di congetture, attacchi e illazioni che impazzavano circa la sua legittimità, l’atmosfera era tesa. Corbyn, evidentemente ancora non del tutto consapevole che deve misurare le parole col bilancino elettronico quando parla di Israele, ha detto: «I nostri amici ebrei non sono responsabili per le azioni di Israele o del governo Netanyahu più di quanto i nostri amici musulmani lo siano di quelle dei vari sedicenti stati o organizzazioni islamiche». Un invito a nozze: un minimo di libera interpretazione e il gioco è fatto. Tutti i giornali il giorno dopo riportavano che Corbyn, il noto virulento antisemita, aveva paragonato Israele a Daesh. Emily Thornberry ha cercato di metterci una pezza, porgendo scuse ufficiali del partito all’ambasciatore israeliano.

Intanto prosegue la febbrile ricostituzione del governo ombra, con tanti, troppi posti vuoti nelle frontbench da riempire. Ieri il ministro ombra dell’economia, amico e alleato di Corbyn della prima ora, durante un discorso sul risultato referendario ha confermato per l’ennesima volta che il leader non se ne va; ha ammesso che nei prossimi giorni ci sarà una sfida per la leadership, ma ha invitato i colleghi deputati a placarsi in un momento così delicato della storia del paese, dichiarandosi ottimista sulla possibilità che il partito possa sanare democraticamente le proprie ferite e tornare a lavorare nell’interesse del paese. «Il mio messaggio a tutti i deputati laburisti è: state calmi e lavoriamo. Non sono solo i nostri membri ad aver bisogno che facciamo il nostro lavoro, è il paese intero».