Mentre il governo di Goodluck Jonathan annaspa in un impasse politico ormai alla ribalta internazionale – sia perché una giovane democrazia ancora in balia del suo recente passato dittatoriale è riuscita ad attribuirsi il ruolo di prima economia dell’Africa, sia perché nonostante una dichiarata presenza dell’intelligence occidentale da mesi ha potenziato le sue attività sul territorio nigeriano nel tentativo di fronteggiare una minaccia terroristica sempre più incalzante – le vittime più esposte alle fragilità istituzionali dello stato nigeriano si sono rivelate più realiste del re nel difendere la loro sopravvivenza.
Circa 60 donne rapite a fine giugno scorso da Kummabza, nel governatorato di Damboa (a circa 150 km da Maiduguri, capitale dello stato del Borno) per mano – si sospetta – di militanti di Boko Haram, sarebbero riuscite a fuggire venerdì scorso ai loro aguzzini approfittando della loro assenza.

Pogu Bitrus, il governatore di Chibok – villaggio teatro ad aprile scorso del ratto di più di 200 ragazze finite chissà dove al seguito dei militanti del locale gruppo qaedista – ha confermato la notizia dopo che un suo rappresentante ha potuto incontrare alcune di loro e le rispettive famiglie all’ospedale di Lassa.
Dichiarazione supportata dalla testimonianza del leader dei vigilanti di Maiduguri Abbas Gava.
Le ragazze si sarebbero liberate, mentre miliziani di Boko Haram erano impegnati ad assaltare una caserma militare e il quartiere generale della polizia a Domboa. Una circostanza che sembra confermata, poiché l’esercito nigeriano ha riferito di avere ucciso più di 50 ribelli negli scontri quella notte

In una situazione di stallo, in cui all’incapacità delle forze di sicurezza nigeriane si aggiunge il tiro alla fune della presidenza di Goodluck Jonathan restia a negoziare alcuna richiesta di scambio di prigionieri di Boko Haram per la liberazione delle sabine ancora in mano ai miliziani, i qaedisti nigeriani riescono a guadagnarsi spazi in avanzata su base giornaliera.
È lo stesso governatore Bitrus, anche presidente del Kibaku Area Development Association, a rendere noto come a partire da aprile scorso ben 19 villaggi sono stati attaccati, più di 229 sarebbero le persone uccise e circa 100 i feriti gravi.
«Sicurezza e difesa sono fornite principalmente dai vigilanti locali (che sono mal equipaggiati) e dalla polizia, mentre i soldati a Chibok stanno a guardare gli abitanti del villaggio mentre, impotenti, sono massacrati nelle loro case e nei luoghi di culto», recita una nota dell’associazione.