Scusate abbiamo sbagliato. L’ultimo atto in commissione finanze complica il percorso del decreto fiscale. Succede perché 5 Stelle, Pd e Leu approvano un emendamento del deputato Pd Claudio Mancini che rinvia al 1 gennaio 2021 l’obbligo per le fondazioni politiche di adeguarsi alle regole di trasparenza introdotte all’inizio di quest’anno (dalla legge cosiddetta “spazzacorrotti”) che sono le stesse previste per i partiti. Italia viva vota contro l’emendamento in commissione e poco dopo Renzi coglie al volo l’occasione per attaccare il resto della maggioranza: «Gli stessi che di giorno sui social ci fanno la morale sulla fondazione Open, di notte in silenzio e alla chetichella votano per evitare la trasparenza alle loro fondazioni». Di Maio innesta la retromarcia senza preoccuparsi di spiegare il precedente voto favorevole all’emendamento: «È una porcheria, bisogna tornare in commissione». Il Pd lesto si adegua. Mancini vorrebbe «ritirare» l’emendamento, ma naturalmente non si può, è stato approvato, e allora «visto che si pensa che ci siano secondi fini o obiettivi particolari non resta che tornare in commissione». Così oggi, quando il decreto arriverà in aula, si voterà per fare subito un passo indietro. Si torna in commissione e si «corregge». Dopo di che bisognerà correre. Il decreto scade il 25 dicembre e deve ancora andare in senato, dove a questo punto sarà certamente blindato con la fiducia.

Il Pd accetta senza protestare il dietrofront, ma non appare convinto: «Si dovrà comunque trovare un’altra soluzione alle difficoltà organizzative evidenti causate da una legge sbagliata che criminalizza i partiti e la partecipazione politica», dice Mancini. Ce l’ha con la “spazzacorrotti”, per la quale vanno pubblicati mese dopo mese con nome e cognome dei sostenitori tutti i contributi superiori a 500 euro. Contributi ai partiti e anche alle fondazioni. Quali fondazioni? Il problema sta proprio qui: la legge voluta dai 5 Stelle definisce «fondazioni politiche» non solo quelle i cui organi direttivi sono decisi da un partito politico o che finanziano in maniera rilevante un partito o un movimento, ma anche tutte quelle alla cui gestione partecipano persone che siano state elette nel parlamento nazionale o nei consigli regionali e comunali fino a dieci anni prima. Vale ha dire, ha calcolato Openpolis, circa 54mila persone, il che complica terribilmente il lavoro della piccola autorità per la trasparenza degli statuti e dei partiti che il parlamento ha insediato da qualche anno. Nell’ultima relazione ai presidenti di camera e senato, questa «Commissione di garanzia» denunciava proprio la sua grande difficoltà, stimando che esistano circa seimila associazioni e fondazioni politiche da assoggettare ai nuovi obblighi di trasparenza.

Mancini giura che la sua intenzione «alla luce del sole» era solo quella di risolvere i problemi della Commissione. Ma il Pd ha capito benissimo che Renzi nel suo attacco alle «loro fondazioni» non colpisce tanto i 5 Stelle – la Casaleggio associati è una srl alla quale non si applicano le regole introdotte per le fondazioni – ma proprio il Pd. E in particolare l’associazione Berlinguer che è il cappello sotto il quale agiscono le decine di fondazioni territoriali che hanno ereditato il patrimonio che fu del Pd. «Incredibile, hanno votato un emendamento contro la trasparenza. Immaginate se lo avessi votato io…», insiste Renzi, in questi giorni sotto botta per l’inchiesta sulla sua fondazione Open (poi chiusa). E il deputato di Iv Marattin gira il coltello nella piaga: «Hanno votato a favore M5s, Pd e Leu. Le probabilità che si sia trattato di un errore simultaneo sono basse».