L’ex Ilva – ora Acciaierie d’Italia – è un gigante senza più soldi perché Arcelor Mittal non vuole più investire e lo stato – entrato con Invitalia al 49% – non ha risorse. E allora che cosa fa il governo per poter garantire la continuità della (poca) produzione attuale? Distrae nel silenzio più totale ben 575 milioni alle bonifiche ambientali a Taranto per usarli per la rimpinguare le casse. Lo prevede l’articolo 21 del decreto legge Milleproroghe emanato dal Consiglio dei Ministri giovedì scorso. La denuncia fatta lunedì dal M5s con i parlamentari tarantini Gianpaolo Cassese e Mario Turco che propongono un emendamento «che sopprima la norma in questione» – «Modificare la destinazione di queste importanti risorse per dirottarle su investimenti nel ciclo produttivo dell’acciaio, spacciandoli per progetti di decarbonizzazione, non è solo uno schiaffo alle future generazioni tarantine ma rischia di divenire anche un aiuto di Stato non concedibile» – ieri è stata ripresa da tutti i sindacati – preoccupanti sia della salute che del destino dei 2.300 lavoratori rimasti in capo alla amministrazione straordinaria ex Ilva proprio per fare le bonifiche ambientarli – e dalle associazioni ambientaliste: «I 450 milioni di euro provenienti dal sequestro del Tribunale di Milano nei confronti dei Riva e destinati alle bonifiche delle aree ex Ilva devono rimanere per l’adeguamento ambientale e sanitario dello stabilimento. «Altrettanto incomprensibile – aggiungono – è la richiesta, rivolta dal Ministero della transizione ecologica al Ministero della Salute, di rivedere i parametri epidemiologici con i quali Arpa Puglia, Aress Puglia e Asl Taranto hanno effettuato la valutazione di impatto sanitario relativa ad una produzione dello stabilimento siderurgico ex Ilva pari a 6 milioni di tonnellate annue di acciaio, evidenziando la presenza, in tale scenario, di rischi inaccettabili per la salute».