«I nostri popoli sono fratelli!» ripetono ad ogni incontro Vladimir Putin e Alexander Lukashenko facendo di tanto in tanto baluginare la possibilità di unificarsi. Da molti anni i due paesi ex-sovietici hanno congelato il processo di unificazione visto che il «fratello minore» non sembra poi di avere fretta di rinunciare all’indipendenza conquistata nel 1991.

La Bielorussia resta tuttavia l’alleato più fidato di Mosca. Proprio quest’anno ha rinnovato il contratto che gli permette di acquistare dal «grande fratello» russo petrolio grezzo a prezzi da discount su cui ha basato il miracolo economico degli ultimi anni. Lukashenko ha sempre ricambiato come ha potuto: nel 1995 ha parificato il russo al bielorusso, innalzandolo a lingua ufficiale mentre per la difesa si affida alle cure dell’Armata Russa, evitando così di appesantire il bilancio statale.

La scorsa primavera si sono tenute esercitazioni militari congiunte dei due eserciti a cui è seguita una violenta polemica della Nato che le ha giudicate «intimidazione e provocazione» contro la Polonia. La Russia e la Bielorussia hanno replicato piccate che proprio ai loro confini a partire dal 2013 si sono tenute ben 56 esercitazioni dell’Alleanza atlantica contro le solo 26 russe. E la pressione della Nato che pericolosamente si allarga a est continua anche in questi giorni.
Lukashenko che si definisce, con una qualche autoironia, un «ortodosso ateista», non ha mai costruito una propria ramificazione della Chiesa ortodossa – come fanno gli ucraini – affidandosi alle cure del Patriarca di Mosca Kirill. Del resto il suo richiamo all’ortodossia è strumento di coesione sociale interna, mentre il suo ateismo non è mai stato legato a una qualche adesione al marxismo ma è un richiamo residuale all’epoca sovietica.

Tuttavia i rapporti tra Minsk e Mosca sul piano delle relazioni internazionali non sono così idilliaci. Il presidente bielorusso non si è mai fidato del «grande fratello» di Mosca e ne teme le mire espansionistiche. La Bielorussia ha riconosciuto «de facto» l’unificazione alla Federazione russa della Crimea del 2014 mentre si è sempre detta contraria all’integrazione del Donbass ribelle alle provincie meridionali russe. Il governo di Minsk ha riconosciuto le elezioni ucraine e l’elezione alla presidenza di Petr Poroshenko e mantiene ottimi rapporti commerciali con l’Ucraina esportando verso quel paese latticini e calzature per oltre 2 miliardi di dollari.

A Minsk, a torto o a ragione, inoltre si ritiene che Mosca si tenda sempre di più a «privatizzare» la vittoria della seconda guerra mondiale: la Bielorussia proporzionalmente, ha pagato il prezzo più alto all’invasione nazista: oltre il 25% dei suoi abitanti (due milioni e 200mila persone) perirono sotto l’occupazione nazista e il suo movimento partigiano fu il più combattivo di tutta l’Urss. Un «particolare» che ad ogni celebrazione, secondo Lukashenko, i russi tendono a voler scordare.

L’alleanza tra Minsk e Mosca ha il comune riferimento al panslavismo e alla tendenza a governare con pugno di ferro e paternalismo. Ma il nazionalismo, perno di entrambi i paesi, potrebbe entrare in rotta di collisione.