«Andremo avanti, finché non li troviamo tutti. In vita o non in vita, non importa, non possiamo dare nulla per scontato. Ci sono delle famiglie che aspettano». Così Luca Giai Arcota, operatore del Soccorso alpino nazionale, appena rientrato da un turno di notte sotto le macerie dell’Hotel Rigopiano, a Farindola (Pescara), a 1.200 metri di quota, devastato da una valanga che si è staccata dal Gran Sasso il 18 gennaio scorso. «Oggi abbiamo fatto un lavoro mostruoso, eccezionale», afferma.

Si lotta contro il tempo. La neve è tornata a scendere a più riprese sul paese della tragedia e sull’albergo devastato. E adesso, secondo gli esperti, cresce il pericolo di nuove slavine. Ma la ricerca dei dispersi, dei clienti e degli operatori della struttura prosegue incessante, in condizioni estreme, senza soste. Soccorso alpino, guardia di finanza, vigili del fuoco, carabinieri e polizia: tutti presenti con squadre speciali.

Ad essere impegnati nelle non facili ricerche sono in oltre 500. Si scava, con mani e pale, su un fronte di 300 metri e sotto 5 metri di neve ghiacciata. Con gli elicotteri che monitorano dall’alto anche la montagna, che incute paura. Si scava in cerca di una voce, di un richiamo, di un indizio che possa condurre nella direzione giusta, nella stanza giusta, per trovare ancora vita e riportarla alla luce.

Sul posto anche le strumentazioni elettroniche che vengono abitualmente utilizzate dalla Scientifica per la geolocalizzazione dei cellulari: sono state posizionate nella mansarda dell’albergo per catturare eventuali segnali provenienti dai telefonini, con i numeri forniti dalla Squadra mobile di Pescara e appartenenti agli ospiti e al personale che lavorava nel 4 stelle. Strumentazioni che hanno consentito di individuare punti precisi in cui indirizzarsi, una traccia preziosa.

Al momento ci sono 11 sopravvissuti, cinque corpi recuperati e trasportati all’obitorio a Pescara e 23 dispersi. Ai due superstiti dell’alba di giovedì – il cuoco Giampiero Parete e il ‘tuttofare’ dell’hotel Fabio Salzetta – si aggiungono la moglie di Parete, Adriana, e il figlio Gianfilippo, salvati ieri mattina, e altri tre bimbi, che stanno bene: l’altra figlia di Parete, Ludovica, e poi Edoardo Di Carlo e Samuel di Michelangelo.

L’altra notte sono stati estratti vivi altri 4: Giampaolo Matrone, ferito; Vincenzo Forti, Francesca Bronzi e Giorgia Galassi. Il bilancio ufficiale delle vittime è salito a cinque.

Per i congiunti una straziante attesa, tra disperazione, pianti e gioia per chi alla fine ce l’ha fatta. Sono tutti all’ospedale di Pescara, dove vengono portati superstiti e salme. Non li ha chiamati nessuno, raccontano, nessuno li ha avvisati. Da soli, chi da Macerata, chi da Roma, chi da Osimo e dalle varie località dell’Abruzzo coinvolte dal dramma, di fronte alle prime notizie diffuse dai media si sono messi in auto e si sono precipitati in ospedale. Dove hanno cominciato ad aspettare, incoraggiati dalle prime ambulanze e da buone nuove.

Così si è accumulata anche tensione, perché vogliono conoscere, sapere, poter capire se continuare a credere. Tengono duro, ma di ufficiale nulla. E allora sbottano. «Siamo stati abbandonati a noi stessi. Nessuno a cui chiedere, nessuno con cui confrontarsi, il nulla. Ci hanno messo a disposizione una camera senza dirci neanche i nomi di chi si è salvato. Perché?».

Prende piede l’inchiesta aperta dalla Procura di Pescara. I pm Cristina Tedeschini e Andrea Papalia, accompagnati dai carabinieri forestali, hanno raggiunto l’Hotel Rigopiano per un sopralluogo. Un giro tra quel che resta di un complesso da favola. Ipotizzati i reati di omicidio plurimo e disastro colposo. Sono già stati sequestrati e acquisiti documenti, in Provincia a Pescara e in Prefettura: tra essi il Piano neve dell’ente e i bollettini Meteomont, di pericolo valanghe, dell’ultimo periodo, snobbati.

Sono stati ascoltati anche alcuni testimoni. Il ristoratore Quintino Marcella che mercoledì pomeriggio, per primo, ha dato l’allarme per quanto accaduto è stato sentito dagli agenti della Questura di Pescara. La deposizione è avvenuta ieri mattina ed è durata circa due ore. «Non ho fatto altro che raccontare quanto già noto. E cioè che ho telefonato a ripetizione e non mi hanno dato retta. Non mi hanno creduto».

Spartineve mai giunti nell’albergo; turbina della Provincia fuori uso; chilometri di strada non puliti, ostruiti, e che hanno bloccato e costretto i clienti del Rigopiano, che avevano scelto di andarsene, a tornare indietro; ritardi nei soccorsi, che sono partiti solo tre ore dopo la sciagura; allerta slavine e richieste di aiuto ignorate: su questo si indaga.

Intanto il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, ha stabilito di querelare il settimanale francese Charlie Hebdo per la pubblicazione della vignetta satirica sulla catastrofe. Una decisione in linea con quella presa nei mesi scorsi ad Amatrice (Rieti) oggetto, dopo il terremoto, di un’altra illustrazione della rivista d’Oltralpe.