Schivo, riservato, indecifrabile. Di pochissime parole. A modo suo, visti i risultati, geniale. Sempre lontano dalla ribalta eppure protagonista assoluto della vita politica italiana degli ultimi anni. Da vivo e da morto. Se ne parlerà ancora a lungo di Gianroberto Casaleggio e delle leggende che aleggiano sul suo conto: a 61 anni, il cofondatore e per certi versi “proprietario” del Movimento 5 Stelle è morto ieri a Milano in una camera di ospedale dove era ricoverato da due settimane. Un tumore inesorabile lo aveva colpito due anni fa quando si sottopose ad un intervento d’urgenza al cervello. I funerali si celebreranno giovedì. Chi è vicino al movimento sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento di confrontarsi con l’ineluttabile per capire se la creatura politica di Casaleggio (e Grillo) sarebbe stata in grado di sopravvivere al colpo più duro. Per ora prevale il silenzio, ma le urgenti manovre per la successione sono già cominciate da tempo – pena il clamoroso dissolvimento della più consistente e ambigua forza anti sistema del panorama politico non solo italiano.

Gli uomini e le donne più in vista del M55 non hanno voglia di parlare. Anche nel giorno del dolore però rivendicano con durezza la loro presunta diversità e non sembrano disposti ad ammorbidire i toni. Il cordoglio – a dire il vero un po’ peloso – della politica è unanime ma i parlamentari penta stellati si sottraggono anche al rituale minuto di raccoglimento offerto dalla Camera e dal Senato. Alessandro Di Battista piange abbracciando i colleghi e il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, si limita a dire “rispettate il nostro dolore” mentre entra nella sede milanese della Casaleggio Associati. Anche Beppe Grillo, mai così sotto pressione e decisivo per la sorte del suo movimento, si limita a poche righe di cordoglio: “Ci stringiamo tutti attorno alla famiglia. Gianroberto ha lottato fino all’ultimo”. Nel post Grillo ripubblica un brano tratto da una lettera che Casaleggio scrisse al Corriere: “Sono un comune cittadino che con il suo lavoro e i suoi (pochi) mezzi cerca, senza alcun contributo pubblico o privato, forse illudendosi, talvolta anche sbagliando, di migliorare la società in cui vive”. Un autoritratto che ha dell’incredibile e che continua a spiazzare un mondo politico che non è abituato a relazionarsi con gli alieni: moltissimi lo stimano, altrettanti lo detestano. Appena ricevuta la notizia Beppe Grillo ha lasciato Napoli per raggiungere Milano. Spettacolo annullato, così come tutte le attività dei parlamentari e dei candidati a sindaco di Roma, Torino e Milano. Almeno fino a giovedì.

L’addio del capo era nell’aria e lo stesso Casaleggio, appena una settimana fa, aveva scritto poche righe per smentire le voci circa la sua presunta volontà di incoronare il figlio Davide come suo successore: “Non ci sono capi e l’unico leader riconosciuto sono i cittadini che fanno parte della comunità del M5S. Siamo una comunità che si autodetermina in Rete e gli strumenti a nostra disposizione evolvono ogni giorno”. Quasi un testamento, scarno, a conferma della sua fede visionaria – e ingenua per i più critici – nella “volontà generale” dei cittadini che attraverso il web si costituiscono come un corpo comune per gestire la democrazia diretta (una specie di Jean Jacques Rousseau con tinte mistiche 2.0).

Anche l’utopia spesso, troppo spesso, deve fare i conti con la realtà. E così questa morte, anche se annunciata, non può che segnare un prima e un dopo nella storia del secondo (e forse primo) partito italiano. Cosa sta per succedere? Le analisi si sprecano, e oggi ognuna può valere il suo contrario. Di certo c’è che nell’immediato ci sono elezioni amministrative che dovrebbero riservare piacevoli sorprese per il movimento che fu di Gianroberto Casaleggio. Probabilmente vincere a Roma, e forse a Torino, potrebbe essere un buon viatico per non auto implodere nell’immediato a causa dell’assenza dell’unica voce che – come accade in casa Pd – in questi tre anni è stata in grado di indicare sempre la retta via al gruppo dirigente. La questione del “comando” sembra avviata a una rapida soluzione, del resto il “direttorio” (altra antica reminiscenza rivoluzionaria) è attivo già da tempo per preparare la transizione. Il misurato Di Maio sta studiando da premier in vista delle (auspicate) elezioni del 2017 dopo il referendum d’autunno, e pochi sembrano in grado di contrastare l’ascesa di Di Battista al vertice del movimento, che forse tenderà a somigliare a un partito normale, con rivalità interne e correnti incarognite tra loro.

Altri analisti, anche vicini al M5S, sostengono invece che solo il carisma di Casaleggio – con i suoi limiti e le sue follie visionarie – poteva tenere insieme una formazione piena di contraddizioni e con prospettive di senso tutt’altro che risolte. C’è poi una delicata questione di famiglia (e di gestione aziendale) da sbrogliare nell’immediato e si chiama Davide, classe 1976, il figlio di Gianroberto nonché nuovo proprietario della piattaforma che è servita e servirà per gestire il partito. Le “macchine” probabilmente continueranno a funzionare in quel di Milano ma le opzioni politiche non potranno più essere coltivate nella segreta stanza di papà Gianroberto. Significa che i parlamentari M5S d’ora in avanti dovranno fare da soli e pensare da grandi, anche per via del passo indietro più volte annunciato da Beppe Grillo, l’uomo politico e comico di professione che più di tutti potrebbe soffrire la mancanza della sua insostituibile spalla. Era lui che dal 2005 gli scriveva il suo copione più riuscito.