5 Stelle, l’assemblea dei parlamentari tra applausi e dubbi
Di Maio incontra gli eletti Nelle chat più critiche si discute dei possibili vincoli all’attività legislativa. Il senatore Lannutti tuona contro i nomi circolati nel totoministri
Di Maio incontra gli eletti Nelle chat più critiche si discute dei possibili vincoli all’attività legislativa. Il senatore Lannutti tuona contro i nomi circolati nel totoministri
«Ce l’abbiamo fatta», dice a fine giornata Luigi Di Maio scatenando l’applauso di senatori e deputati. Non si può dire che gli eletti seduti in platea siano stati in cima ai suoi pensieri. Prima di loro ci sono state le trattative, il voto online e poi la salita al Colle. Alla fine, anche i gruppi parlamentari vengono coinvolti.
L’assemblea, che non prevede discussione ma serve ad illustrare la situazione, chiude la giornata che ha consacrato Giuseppe Conte. Di Maio accoglie i convenuti elogiandone la compattezza. All’ultima riunione, quella di due settimane fa, i vertici avevano lanciato il conto alla rovescia per il ritorno alle urne e stabilito, facendo tremare le vene ai polsi di più di un parlamentare, che da quel momento ripartiva la campagna elettorale. Adesso il cuore del messaggio, che rivela il timore principale, è «Unità a tutti costi». «C’è stato un momento fondamentale – dice il capo politico – Nell’ultima assemblea ho detto ’dobbiamo andare a votare’. Tutti pensavano che avrei ricevuto il vostro diniego ma non c’è stato uno che ha detto no, e quella è stata la grande forza che ci ha permesso la svolta». Poi rivendica la sua scelta di farsi da parte, altro snodo fondamentale per la riapertura delle trattative: «Ho deciso di fare un passo indietro per far fare un passo avanti al Movimento 5 Stelle, sapevo che avrei messo alla prova gli altri sulla coerenza».
La tenuta del M5S di governo dipende dalla disciplina dei gruppi e dalla reazione dei territori. Il primo livello ha a che fare con l’architettura immaginata ai tavoli di scrittura del contratto di governo. Si tratta di capire se davvero il fantomatico comitato di conciliazione possa funzionare da vincolo all’attività dei singoli eletti, cui nelle settimane scorse è stato chiesto di rendere conto persino sulle interrogazioni parlamentari. Per non parlare dell’attività legislativa. «Cosa succederebbe – ci si domanda nelle chat più critiche – se un gruppetto dei nostri ripresentasse alcuni dei disegni di legge della scorsa legislatura, come il numero identificativo delle forze dell’ordine o la legalizzazione della marijuana?».
Di Maio mette le mani avanti, dice ai parlamentari vecchi e nuovi che «essere maggioranza è una novità per tutti». E avverte: «State attenti: proveranno a spaccarci in tutti i modi».
Il secondo livello ricade sui territori: al sud che ha votato in massa per i grillini o nelle terre del nord minacciate dalla grandi opere, si toccherà con mano l’effetto del contratto. Di Maio dice ai suoi che i ministeri del lavoro e delle infrastrutture (leggasi reddito di cittadinanza e Tav) saranno in mano ai 5 Stelle. A Palermo è scoppiato uno scontro tra grillini sull’apertura di un hotspot per richiedenti asilo: l’ex candidato sindaco Ugo Forello ha rivendicato i valori dell’accoglienza mentre Igor Gelarda, poliziotto e consigliere comunale, rivendica la «stretta sui migranti» contenuta nel contratto stipulato con la Lega.
L’«esterno» Alessandro Di Battista nel pomeriggio manda un messaggio che invita alla mobilitazione ma che al tempo stesso traccia come stella polare il contratto con la Lega: «Sono fiero di aver contribuito a portare il Movimento 5 Stelle al governo – dice – Adesso tutti i cittadini hanno il dovere di pressare la politica affinché quel che c’è scritto nel contratto di governo diventi legge dello stato».
C’è una variabile ricorrente, ulteriore motivazione a rinviare ogni passaggio critico. Le regole della politica politicante impongono a molti attivisti storici e persino a qualche parlamentare di fare buon viso a cattivo gioco fino alle amministrative del 10 giugno. Rapporti locali e impegni di appoggio reciproco spingono a non produrre rotture.
Uno di quelli che non ha nulla da perdere è Elio Lannutti, voluto senatore da Beppe Grillo, uno dei sei voti determinanti a palazzo Madama. La sua analisi è impietosa: «Leggo nomi estranei a principi e valori, cariatidi, lestofanti del potere marcio e corrotto, legati a cricche, combriccole, faccendieri, logge coperte, grembiulini, pseudo-autorità e manutengoli del potere che ho combattuto per oltre 30 anni. Spero di sbagliarmi, ma se così fosse, sarebbe una tragedia ed il tradimento di un sogno».
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