«Il vero Parlamento sta da questa parte» dicono dal Movimento 5 Stelle mentre l’esame alla camera del Rosatellum procede verso la votazione finale. È Luigi Di Maio a pronunciare la dichiarazione di voto, con Beppe Grillo che non compare fino all’ultimo per non offuscare il nuovo «capo politico» e candidato premier. Di Maio legge il suo discorso, all’inizio appare teso: «A voi non piace solo vincere facile ma anche giocare sporco, la storia vi condannerà». Poi si scalda e, come in quasi tutti gli interventi della maratona oratoria in piazza, punta dritto il dito accusatorio contro la Lega e Matteo Salvini, colpevoli di votare una legge assieme «ai partiti che hanno trasformato l’Italia nel campo profughi d’Europa».

È la giornata dell’attesa di Grillo, che alla fine sceglie di non comparire. Neppure per un saluto, per «valutazioni personali», forse dettate anche dai numeri non oceanici, soprattutto quando tramonta il sole. Come al solito, il fondatore ha messo le tende nell’albergo che affaccia sui Fori e ricevuto alcuni dei suoi, in vista delle prossime scadenze, in primis le (convulse) primarie digitali di ieri per scegliere il candidato alla presidenza della Regione Lazio. In una piazza un po’ meno gremita del giorno precedente arriva la sindaca di Roma Virginia Raggi. «Dobbiamo e dovete dire forte che i cittadini hanno diritto di esprimersi, perché continuano a mantenere i loro posti e poltrone invece di fare l’interesse dei cittadini», dice alla folla. Lei, dal canto suo, proprio ieri ha benedetto l’ennesimo passaggio di testimone tra assessori della sua giunta. Via l’imprenditore veneto Massimo Colomban, la nuova delega alle partecipate va ad Alessandro Gennaro, commercialista proveniente dallo staff della sindaca.

Roberto Fico mercoledì aveva accettato di presentarsi assieme a Luigi Di Maio, in nome della lotta contro il comune nemico. Ora trova il modo di distinguersi: «La nostra è una rivoluzione pacifica e culturale. Se pensiamo esclusivamente al voto e al governo non andiamo da nessuna parte». Il ragionamento pare pensato per dare ragione a chi sostiene che Grillo e i suoi sanno che al governo non ci arriveranno mai per davvero, ma ci tengono a presidiare il monopolio dell’opposizione. «Il nostro atteggiamento è fatto anche per andare al governo – spiega ancora Fico – Ma soprattutto per mandare un messaggio ai cittadini che è possibile fare politica in un altro modo, In questi cinque anni in Parlamento ad esempio la qualità legislativa è migliorata».

Lo schema ufficiale però è un altro, ed è chiaro da giorni. Lo esplicita Manlio Di Stefano, uno che di solito annusa l’aria che arriva dai vertici: «La gente capirà che siamo noi contro tutti gli altri. E sarà come quei ballottaggi per i sindaci nei quali li mandiamo regolarmente a casa». Alessandro Di Battista non si risparmia come sempre. E guardando le camionette di polizia e carabinieri che presidiano il palazzo, ha un moto di simpatia: «Loro stanno con noi. Quando passiamo davanti a Palazzo Chigi sottovoce ci dicono continuate così». Suo padre, il fumantino fascista Vittorio, ha vissuto un momento di tensione con Antonio Pappalardo, il pittoresco generale che da giorni conduce una protesta parallela contro il «Parlamento abusivo» assieme a un drappello di fedelissimi. Dice, il militare in pensione transitato dalla simpatia per la destra al Psdi fino ai Forconi, che bisogna arrestare tutti i parlamentari. I grillini lo accusano per le cariche politiche passate. Di Battista difende il babbo su tutta la linea, trasgredendo anche solo per un attimo, e col pensiero, la linea della nonviolenza: «C’è chi come padre ha Tiziano e chi come padre ha Vittorio. Io sono proprio fiero di mio padre. Avrà provato a dare una carezza a uno che si piglia il vitalizio». La battaglia adesso passa a palazzo Madama. E il deputato Luigi Gallo da Torre del Greco, uno dei pochi a contestare apertamente il voto per Luigi Di Maio, dice: «Al Senato faremo un’azione ancora più forte».