Con la proposta di legge sulla responsabilità del medico all’esame dell’aula del senato,il rischio è che la pezza risulti peggiore del buco.

Quando all’inizio del suo percorso parlamentare proposi di inserire nel testo una clausola di verifica (non accolta) cioè un termine per fare un bilancio dei pro e dei contro, era perché ero e ancora sono convinto che la questione in quanto tale non è ne traducibile facilmente in una norma esaustiva e ne la norma è facilmente applicabile nelle prassi ordinarie delle professioni. Le situazioni concrete sono molto ma molto complicate.

La legge avrà successo solo se riuscirà a ridurre il contenzioso legale, non ad accrescere il grado di impunibilità del medico o a tutelarlo dagli oneri risarcitori, mentre tanti sono i medici che pensano il contrario, cioè che la legge avrà successo solo se garantirà loro una relativa impunibilità indipendentemente dal problema del contenzioso legale. E già questo è un bel problema.

Tra i possibili punti deboli della legge, il primo è la scelta di campo sbagliata che ha fatto il legislatore: inquadrare il fenomeno del contenzioso legale nel quadro dei problemi della sicurezza delle cure, della prevenzione del rischio, dell’evento avverso, del risk management.

Si tratta di una scelta che non coglie un dato di fatto: la gente non denuncia i medici perché sbagliano (la fallibilità fa parte dell’ordine normale delle cose), ma perché i medici non sono capaci di avere relazioni con i malati e i loro famigliari.

Personalmente per prevenire il contenzioso legale avrei agito su una riforma del consenso informato quindi su una maggiore corresponsa- bilizzazione del malato e di conseguenza avrei correlato la legge con un forte intervento formativo dei medici.

Il secondo è che tutto l’apparato definito a sostegno di tutte le proposte della legge (difensore civico, osservatorio nazionale, centri, elenchi, ecc) è previsto a costo zero, vale a dire che se le regioni lo vogliono fare se lo devono pagare. Questo realisticamente è poco probabile che accada perché le regioni non hanno neanche più gli occhi per piangere. Per cui senza supporti tecnici resta come prima il medico contro il cittadino.

Il terzo è il ricorso alle linee guida per garantire al medico l’impunibilità da certi reati (non entro nei dettagli). Si corre il rischio di istituzionalizzare la medicina difensiva cioè di indurre il medico a salvarsi con il ricorso ordinario alle procedure indipendentemente dalle necessità individuali del caso. Il che causerebbe un danno incalcolabile alla qualità della medicina e alla sua credibilità.

Potremmo avere una medicina appropriata alle linee guida ma inadeguata nei confronti delle necessità del malato. E’ vero che per ammorbidire la questione è stata inserita la frase «salve le specificità del caso concreto» (proposta che per altro ho avanzato per tempo) ma la legge non dice come tutelare il medico nel caso in cui egli derogasse dalle linee guida per rispettare la singolarità del caso. Per cui è presumibile che i medici assumano le linee guida come principio precauzionale generalizzato. In questo caso dovremmo scordarci la personalizzazione delle cure, l’umanizzazione, ecc.

Il quarto è la storia che obbligando il malato all’inversione dell’onere della prova il medico abbia risolto tutti i suoi problemi, in realtà il medico in un modo o nell’altro in tribunale a discolparsi ci dovrà andare comunque sia in caso di azione diretta nei confronti dell’assicurazione da parte del paziente danneggiato, in quanto il medico è parte necessaria, sia che venga citata la struttura, in quanto il medico è obbligato a partecipare, in quanto parte attiva del procedimento.

Il quinto è il terreno paludoso della questione assicurativa, della rivalsa, delle coperture obbligatorie ancora troppo pieno di incognite, con il rischio di scaricare i risarcimenti sul fondo sanitario nazionale (Tiziana Frittelli su «quotidiano sanità» del 15 novembre) cioè di togliere soldi alle cure dei malati.