Sbucavano di corsa, seminudi e scalzi, dai vicoli maleodoranti della città vecchia che immettono su via Garibaldi e tuffatisi raggiungevano le barche con poche bracciate e molti schiamazzi. Più avanti, sulla stessa strada che assume il nome di via Cariati, aprivano le trattorie che cucinavano con acqua di mare il pesce appena scaricato dai pescherecci attraccati là di fronte. Non più d’una dozzina di metri li separavano dal muro di case e di botteghe. Lo sbarco del pescato, il cui cromatismo risaltava sullo sfondo uniforme dei fabbricati grigi, formava un mercato ininterrotto, diurno e notturno, movimentando oltremodo la strada. L’unica strada, allora, quella di via Cariati a Taranto, attraverso la quale s’incanalava lentamente, fra cassette di pesce d’ogni specie accatastate senza ordine sul lastricato, il traffico motorizzato diretto alla statale jonica per Reggio Calabria. In quello specchio d’acqua del Mar Piccolo, dove ristagnava la nafta dei motori marini e galleggiava lo scarto del pesce sviscerato, si tuffavano i ragazzini attirando l’attenzione dei gitaioli delle domeniche primaverili arrivati fin lì per la mangiata di cozze tarantine sulle tavolate del famoso “Pesce fritto”.

Al seguito dei genitori, avevamo la stessa età (dieci-dodici anni) di quelli che in mare, con gesti inequivocabili, invitavano a scagliare le monete di cinque o dieci lire. Ci pensavano loro a calarsi sul fondo, dove potevano ancorare navi di modesto tonnellaggio, a ritrovarle e riportarle in superficie, mostrandole sorridenti agitando il braccio. Ovviamente se le trattenevano, infilandosele negli slip, col benvolere di chi gliele aveva lanciate. Instancabili, incitavano a scagliare altre monete e via così, finchè i passanti non si allontanavano e i ragazzini sguazzando per farsi scorgere aspettavano che ne arrivassero altri.

Agli albori degli anni ’60 l’impianto della più grande acciaieria d’Europa (l’Italsider, allora azienda pubblica di stato) non era stato ancora costruito. Il boom economico tirava, il benessere si espandeva, ma al contempo molta gente si doveva arrangiare per affrontare la grama quotidianità. Le città, specie nel Sud, soffrivano di enormi carenze in materie d’igiene e di sicurezza e le persone, anche quelle dabbene, trascuravano certi aspetti elementari. Quei minori che s’immergevano toccando il fondale del mare per raccogliere cinque o dieci lire, azzuffandosi per impossessarsene, erano figli del popolo minuto, abituati a crescere, fin da piccolissimi, fra molteplici difficoltà: quali pericoli potevano correre mai? Ricorrevano a un interrogativo del genere le famigliole benpensanti per tenere annacquate le proprie coscienze. E quelle scene ai più procuravano compiacimento per aver fatto guadagnare qualche spicciolo a dei piccoli bisognosi; peraltro, apparivano come un simpatico siparietto di folklore: un tutto incluso nella gita alla città dei due mari da raccontare magari, tornando, a chi era rimasto a casa.