Mai più Moria, mai più campi. È l’appello che una coalizione di 400 associazioni, guidata da Medici Senza Frontiere, rivolge alle istituzioni europee. «A un mese dagli incendi che hanno distrutto Moria e nonostante le promesse pubbliche dei commissari Ue che non ce ne sarebbe stata un’altra – scrivono le associazioni – più di 7.500 persone sono ancora intrappolate in condizioni disumane in un nuovo campo costruito a Lesbo». Le Ong denunciano anche il mantenimento dei campi nelle altre isole greche dell’Egeo (Samos, Kos, Chios e Leros) dove si trovano oltre 7mila persone.

In questi luoghi è ormai entrato il virus del Covid-19 ma è impossibile garantire le necessarie misure anti-contagio, dal distanziamento sociale alle norme igienico-sanitarie basilari. Nell’hotspot di Samos 4.314 persone vivono in uno spazio che potrebbe ospitarne al massimo 648. Nel nuovo campo di Kara Tepe realizzato a Lesbo non c’è acqua corrente, i bagni chimici sono insufficienti e si contano oltre 250 contagi. Le persone sono costrette a lavarsi e a lavare i bambini in mare, mentre il cibo viene distribuito una volta al giorno.

L’appello esprime dure critiche anche al Patto sulle migrazioni presentato due settimane fa dalla Commissione europea. Per Msf e le altre Ong: «Il Patto riflette l’approccio fallimentare dell’Ue, amplia le procedure di frontiera obbligatorie ed è apertamente orientato alla deterrenza e al rimpatrio invece che all’accoglienza e alla protezione umanitaria». Ciò che servirebbe davvero, sostengono i firmatari, è una totale messa in discussione del modello di contenimento delle persone lungo i confini esterni. Una dinamica che le conseguenze pratiche del pacchetto di misure proposto dalla Commissione potrebbe rafforzare.

Ad avanzare simili richieste non sono solo le Ong: i rifugiati intrappolati, gli abitanti delle isole e oltre mezzo milione di cittadini europei che in questi anni hanno sottoscritto appelli e petizioni vogliono che i campi dell’Egeo siano chiusi per sempre. Finora non li ha ascoltati nessuno.