«Con la settimana lavorativa di 4 giorni abbiamo aperto un dibattito epocale. Di cosa deve occuparsi la politica se non del tempo di vita?». Così, a febbraio, Íñigo Errejón – ex braccio destro di Pablo Iglesias e attuale leader di Más País – rivendicava l’accordo raggiunto con l’esecutivo di Pedro Sánchez sulla sperimentazione della settimana lavorativa di 32 ore e 4 giorni.

LA PAROLA D’ORDINE della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario accomuna tutte le sinistre iberiche, ma è stato il piccolo partito nato nel 2019 dalla scissione di Podemos a farne il proprio cavallo di battaglia.
Poi, la pandemia ha riportato alla ribalta un progetto che trova le sue ragioni nella necessità di aggredire disoccupazione e sottoccupazione liberando al contempo una quota di tempo di vita per i lavoratori e soprattutto per le lavoratrici, sulle quali grava la maggior parte del lavoro di cura. Il progresso tecnologico aumenta la produttività e riduce il tempo necessario a produrre, ma il lavoro disponibile non viene ripartito in maniera equa e razionale e i salari ristagnano. E ora i lockdown incentivano lo smartworking, allungando l’orario di lavoro di molti dipendenti proprio mentre cresce il preoccupante numero di coloro che la propria occupazione la perdono (che sono soprattutto donne).

LA PROPOSTA DI MÁS PAÍS è tornata di stretta attualità, originando un progetto pilota adottato prima dalla Generalitat Valenciana e poi dall’esecutivo statale, fondato sulla convinzione – supportata da numerosi studi ed esperimenti – che la riduzione delle ore lavorate possa corrispondere a un mantenimento o anche ad un aumento dei livelli di produttività. I difensori della proposta fanno notare che se in Spagna si lavora 36.4 ore a settimana, la Germania vanta livelli di produttività superiori del 4.5% con una media di 34.2.

ALCUNI ESPERIMENTI LOCALI sembrano sostenere le tesi dei promotori: ottimi i risultati conseguiti dalla Software DELSOL. L’impresa andalusa, passata da 40 a 36 ore concentrate in 4 giorni, ha ottenuto un aumento della produttività e del tasso di soddisfazione di lavoratori e clienti, potendo assumere altri 29 dipendenti. Buoni anche i risultati conseguiti a Madrid dai ristoranti “La Francachela” o dall’impresa di consulenza di Valencia “Zataca System”, che hanno già adottato la settimana corta.

Ora l’esperimento pilota si svilupperà per i prossimi tre anni e l’obiettivo è coinvolgere 200 imprese e un numero totale di dipendenti compreso tra i 3 e i 6 mila. Le aziende che aderiranno potranno contare il primo anno su una copertura da parte dello stato del 100% dei costi di transizione, del 50% il secondo anno e del 33% il terzo. A disposizione ci sono 50 milioni di fondi europei, per accedere ai quali le imprese coinvolte dovranno mantenere o ampliare l’organico e lasciare i salari invariati. Un comitato composto da imprenditori, sindacati e membri del governo selezionerà le aziende (cercando di rispecchiare la composizione del tessuto produttivo del paese), e poi valuterà i risultati.

LE REAZIONI ALLA DECISIONE dell’esecutivo sono state diseguali. Sindacati e partiti di sinistra la sostengono, in particolare l’Unione generale dei lavoratori di tradizione socialista. «La riduzione della giornata lavorativa è fondamentale per costruire un altro modello di sviluppo che vada di pari passo con un modo più efficiente di organizzare socialmente il lavoro» spiega il segretario Pepe Álvarez, sostenendo che «occorre superare i 100 anni di stagnazione da quando è stata conquistata la giornata di 8 ore», ottenuta in Spagna dopo uno sciopero di ben 44 giorni partito dai lavoratori catalani.
Tra gli imprenditori invece non mancano le critiche e lo scetticismo, soprattutto nel comparto della ristorazione o del turismo, assai rilevante nell’economia spagnola.

Nella CEOE (la locale Confindustria) emerge la tendenza a spostare l’attenzione sull’aumento della flessibilità piuttosto che sulla riduzione dell’orario, proponendo ad esempio il mantenimento delle 40 ore settimanali concentrate in 4 giorni.

Ma è soprattutto dalle file della destra che provengono gli attacchi più feroci, di natura spesso ideologica.