L’incedere dell’autunno ha i colori e i tratti della primavera. La spiaggia del Lido, intorno alla rada dei Giunchi, brulica di bagnanti in una calda domenica di metà ottobre. Le piante esotiche, i palmizi, le iucche, le magnolie, si mostrano ancor più rigogliose. La Sicilia è lì di fronte, al di là di una striscia di mare che si tinge dei colori del cielo, con i rialzi collinari, e, più a sud, l’Etna con il suo manto bianco che zampilla fuoco dalle viscere. Il declinare dello scopellitismo, morbo tipico locale che a queste latitudini ha attecchito per oltre un decennio, ha una data terminale: il 26 di ottobre. Le elezioni che porranno la parola fine ad un incubo che pareva infinito sono imminenti. E Reggio oggi sogna un’altra primavera. Come la Messina di Renato Accorinti, che è lì a portata di voce.

Una città da rifare

Ha tante facce, Reggio. All’opulenza del centro che mette i lustrini, tra luci sfavillanti e palazzi liberty primo Novecento, al «chilometro più bello d’Italia» come D’Annunzio ebbe a definire il lungomare, fanno da contraltare le periferie degradate, le case incompiute, le vie dissestate. Piccole favelas, dimenticate da tutto e tutti. Reggio, nel mentre, è diventata «città metropolitana». Una griffe che stona innanzi a scempi urbanistici, a una città derelitta e abbandonata al suo destino. Qui il dissesto, prima che finanziario, è anzitutto sociale. L’indice di disoccupazione non ha eguali in Europa, in quanto a comprensione e capacità scolastica il dato è pari a quello del Costarica, l’emigrazione è galoppante. Reggio scende in tutti gli indicatori di rilevazione civile e sociale. Come il tapis roulant voluto fortemente da Peppe Scopelliti, in uno dei suoi tanti afflati megalomani. E poi i tentacoli delle ‘ndrine che strangolano la città e che hanno indotto il ministro Alfano, bontà sua, a scioglierla e commissariarla per inquinamento mafioso. Qui la ‘ndrangheta pervade il tessuto sociale, la politica, le istituzioni. Scopelliti ha imposto il suo dominio per dodici lunghissimi anni. Rafforzato dalle molte corti e dai tanti vassalli sempre ligi a scodinzolare ai potenti, ad acclamarli, a reclamare posti a cassetta. Facce che si perpetuano, visi bronzei come quei bronzi di Riace che un rigurgito di orgoglio reggino ha imposto che non viaggiassero.

Oggi Scopelliti non c’è più. O per meglio dire annaspa. Non ha forse più nemmeno un partito. Ma la forza di nominare il candidato della destra alle elezioni, questa gli è rimasta eccome. E’ Lucio Dattola, ras della camera di commercio e presidente di Unioncamere. Nessuna idea per la città, niente scuse per il disastro lasciato in eredità, ma solo accuse verso chi ha denunciato il dissesto, verso chi non si beve la favola che il debito, che i reggini stanno già pagando, sia solo un «grande imbroglio».

Le gravi responsabilità della destra sono sotto gli occhi di tutti: sperpero di denaro pubblico e assalto alle casse comunali per gestire ed alimentare il proprio bacino elettorale. Ma gli orfani di Peppe sono ossessionati dal passato che non c’è più, vorrebbero riportare la lancetta dell’orologio all’indietro, occupati solo a consumare faide tra Forza Italia e Ncd. Niente hanno da dire sul futuro, nessuna idea, nessuna proposta.

Nel nome del padre

Quando morì, tredici anni orsono, trentamila reggini accorsero al suo funerale. Italo Falcomatà è stato un sindaco di popolo. Un po’ come Petroselli a Roma, acclamato dalla sua gente, rispettato da tutti, senza distinzione. Comunisti e fascisti, preti e prostitute, hanno reso omaggio al loro sindaco. Che ha ridato alla sua città fiducia e dignità, combattendo vis à vis l’abusivismo edilizio e i clan. Ha ridato speranza a una città allo sbando: al posto di un fossato un lungomare eccelso, il teatro rifatto, una politica per le borgate, i parchi per i bimbi, il metano nelle case. Un decennio più tardi, a rinverdire quella che fu «la primavera di Reggio», ci prova il figlio, Peppe, a capo della coalizione di centrosinistra. «Vinceremo di sicuro e forse già al primo turno» ci dice Massimo Canale, che due anni fa sfidò al ballottaggio il commercialista di Scopelliti, Demi Arena, l’ex sindaco che subì poi l’onta del commissariamento. Ma non è un cammino in discesa. Tutt’altro. «Però vinceremo più per demerito di una destra a pezzi, che per merito nostro» tende a precisare Canale.

In città manca quella voglia di partecipazione che anticipa il cambiamento. Reggio sembra, e forse lo è, una città depressa, chiusa in se stessa. Fedele a quel proverbio che più corre da queste parti: Riggiu non vindiu mai ranu, Reggio non ha mai venduto grano, Reggio non ha cioè mai prodotto nulla. «Spero che scatti questa molla del cambiamento e sono sicuro che Falcomatà jr, che è una persona perbene e che stimo, farà del suo meglio. Ma per ora non vedo quell’entusiasmo che anticipa la fine di un’era e l’inizio di una nuova fase. Anche perché ci aspettano almeno due anni di lacrime e sangue per colmare il debito» conclude Canale che oggi è dirigente del Pd, dopo un passato in Rifondazione e Pdci. C’è poi quella pessima abitudine a salire sul carro del vincitore. Che ha prodotto un lenzuolo di liste a sostegno di Falcomatà, che non promette nulla di buono. Ci sono persino i repubblicani di Francesco Nucara, quello delle cene ad Arcore con Berlusconi ai tempi del secondo governo Prodi.

L’altra Reggio

Vista da Gallico, la depressione di Reggio si mostra per intero: acqua che va e che viene (quasi mai), scuole inagibili, sistema viario disastroso. «Lo scopellitismo ha significato anzitutto un abbandono delle periferie. Quando ero consigliere circoscrizionale ricordo che Falcomatà aveva un progetto di città, raccontava un altro modello di sviluppo urbano. Oggi niente» ci spiega Peppe Marra, animatore del centro sociale occupato Angelina Cartella. E c’è poi il deserto culturale che Scopelliti ha prodotto. «C’è stato un arretramento per gli spazi sociali, per i centri di controcultura. La politica dei grandi eventi di Scopelliti ha spazzato via tutto. Ogni modello di aggregazione alternativa è stato colpito, dando la stura ai raid violenti che hanno portato alla distruzione del nostro centro (che i giovani del Cartella stanno faticosamente ricostruendo, ndr) e all’incendio del Museo dello strumento musicale». Il Cartella non sostiene alcun aspirante sindaco.

«Non ci piacciono le scadenze elettorali, e la politica puramente elettoralistica anche se personalmente stimo Stefano che è una persona seria e capace». Marra parla di Stefano Morabito, attivo nel Forum per l’acqua pubblica, e oggi alla guida della lista «Per un’altra Reggio», un network di partiti (Prc, ex grillini, verdi), associazioni, movimenti, cittadini, che negli anni ha condotto battaglie per spezzare il sistema di potere malato della città. Il programma è ambizioso e di rottura. A partire dalla proposta di istituire una commissione di audit sul debito, ovvero una commissione civica di indagine che possa visionare lo stato del bilancio e il suo debito, «per realizzare una grande operazione verità che la nostra comunità attende, per riaffermare i valori di democrazia e trasparenza, dopo anni di azioni occulte e oscure, mettendo i cittadini a conoscenza di ciò che è successo per sanare le storture e progettare assieme un futuro diverso». Ma, come alle regionali di novembre, anche qui la sinistra marcia divisa. Sel ha scelto Falcomatà, Rifondazione Morabito, il Pcl candida Pino Siclari. E anche i grillini non stanno messi meglio, tra accuse di brogli, di infiltrazioni criminali e lotte intestine. Ecco perché come dice un altro proverbio: Riggiu, chiù ti vardi e chiù m’affligiu.