Siamo le studentesse e gli studenti che sono scesi in piazza il 10 ottobre per rivendicare scuole e università libere da interessi privati e reddito e diritti contro la precarietà. Abbiamo riempito le piazze di tutto il Paese irrompendo nel teatrino di una politica impegnata, tanto rispetto alla formazione che rispetto al lavoro, a smantellare quei pochi diritti rimasti dopo il ciclo di politiche d’austerità degli ultimi anni.

Il falso mito per cui una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro condurrebbe a un aumento dell’occupazione è stato smentito dai risultati degli ultimi vent’anni di politiche di precarizzazione.

Molti dei nostri coetanei sono infatti già parte di quel 44,2% di disoccupazione giovanile che da molti è indicato come un dato allarmante, senza che però siano messe in campo quelle misure strutturali che da anni rivendichiamo.

I tassi di abbandono scolastico e l’espulsione di massa avvenuta nelle nostre università nel corso degli ultimi anni sottolineano ulteriormente che il problema della precarietà, in Italia, è innanzitutto un problema di accesso alla conoscenza e di valorizzazione sociale dei saperi. Per questo diciamo chiaramente che la precarietà è il problema e non la soluzione alla crisi.

Il Jobs Act, una legge delega in bianco approvata a colpi di fiducia al Senato, è in perfetta continuità con le politiche dei Governi precedenti. Lo smantellamento definitivo dell’articolo 18, a conclusione di un processo iniziato dalla Riforma Fornero di due anni fa, l’abolizione di altre norme di civiltà come il divieto di controllo a distanza dei lavoratori, l’introduzione del demansionamento, segnano un ritorno al passato che estende la precarietà, in forme diverse, a tutti i lavoratori, non agevolando affatto la nostra generazione. Il contratto unico a tutele progressive tanto sbandierato dal Governo non sostituirà nessun’altra forma contrattuale affiancandosi a quelle già esistenti e decretando definitivamente il passaggio della precarietà contrattuale da eccezione a norma del mercato del lavoro. La cosiddetta universalizzazione delle forme di welfare non coinvolgerà affatto chi è alla ricerca di un primo impiego, i cosiddetti falsi autonomi, i soggetti in formazione e tanti altri.

Per quanto ci riguarda, dunque, non abbiamo più nulla da difendere. Per questo, accanto alla solidarietà attiva per chi lotta in difesa dei propri diritti, non possiamo che organizzare un contrattacco per il lavoro di qualità, il reddito e il welfare universale, il diritto alla conoscenza contro la precarietà.

Siamo infatti parte della prima generazione dal Dopoguerra che vive condizioni materiali peggiori di quelle dei propri genitori, ma non solo. Anche le nostre aspettative di realizzazione personale e di contributo collettivo allo sviluppo materiale e immateriale della società si infrangono contro un mondo del lavoro non solo precario e senza tutele, ma anche incapace di rispondere ai bisogni del nostro presente e alle aspirazioni per il nostro futuro.

Renzi ci dice che oggi il problema è che nel mondo del lavoro esiste una “serie A” dei garantiti e una “serie B” dei precari e degli sfruttati. La sua soluzione è mandarci tutti in Terza Categoria. Noi rispondiamo che vogliamo andare tutti in Champions League: con un reddito di base che garantisca l’autonomia sociale di tutte e tutti, lo stop definitivo alla forme contrattuali che estendono la precarietà, un salario minimo e un livello europeo di contrattazione collettiva, un diritto allo studio per tutte e tutti, finanziato e di qualità, un piano di investimenti pubblici per le piccole opere, la riconversione ecologica, la tutela dei beni comuni, l’innovazione nei processi produttivi.

Per questi motivi saremo in piazza il 25 ottobre in occasione della manifestazione nazionale della CGIL. Proponiamo a tutte le organizzazioni, le associazioni, i comitati, le reti e i singoli che si riconoscono nella necessità di rivendicare lavoro, reddito e conoscenza contro la precarietà, di incontrarci in Piazzale Aldo Moro alle ore 9.30 per dare vita allo spezzone della generazione senza diritti che entra in scena.

Dopo il 10 ottobre e verso lo sciopero sociale del 14 novembre, il nostro cammino per un’altra società continua. Ci giocheremo questa partita fino in fondo.