Giorni difficili per l’Italia, sempre più isolata in Europa con la manovra di bilancio sul banco degli accusati. La difesa svolta dal governo, con il ministro Tria e il presidente del consiglio Conte, ri è rivelata un buco nell’acqua.

Manovra bocciata da Bruxelles con avvio, inevitabile, di una procedura di infrazione (manovra correttiva, poi eventuali sanzioni), una raffica di stime infauste sull’andamento dell’economia che smentiscono tutte le previsioni del governo, rendimenti sui titoli di stato troppo elevati da sopportare, cosicché presto potrebbero rivelarsi insostenibili (gli effetti sul credito già si fanno sentire).
Impietoso l’outlook semestrale dell’Ocse: crescita del Pil che non andrà oltre l’1% quest’anno, appena dello 0,9% tanto nel 2019 che nel 2020.

Non solo: consumi in calo, meno export e meno investimenti privati, rischi per le banche (troppi titoli di stato nei bilanci).
Avvitamento, stagnazione, prossima recessione. Un quadro che impatta ed impatterà necessariamente sul quadro di finanza pubblica, rendendo già superata la previsione di un deficit al 2,4% per l’anno prossimo, che dovrebbe scendere al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021 (l’Ocse stima invece un 2,8% nel 2020).
Intanto, il tema del debito torna al centro del confronto tra i paesi europei: si teme una nuova crisi, l’Italia è la prima a finire nel mirino. Non è un caso, d’altra parte, che i rilievi alla manovra da parte della Commissione muovano proprio dalla «regola del debito», per come la stessa è stata fissata nel trattato sul funzionamento dell’Unione.

E non finisce qui. Nell’ultima riunione dell’Eurogruppo, tra le altre cose, si è discusso anche di riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm), la nuova cassaforte europea pensata per fornire assistenza ai «paesi in difficoltà finanziaria», dopo la cosiddetta «crisi dei debiti sovrani». Soldi in cambio di «riforme strutturali» che fanno rima con «manovre lacrime e sangue» (ne hanno Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro).
In particolare, si è affrontato il tema delle cosiddette «clausole di azione collettiva» (Cacs), garanzie poste nel 2012 a tutela dei «debiti sovrani» nel caso di una loro inevitabile ristrutturazione.

Se oggi un paese della zona euro si trovasse nell’impossibilità di rimborsare i propri debiti, potrebbe proporre, a determinate condizioni, una rinegoziazione degli stessi ai propri creditori (nuove scadenze, tassi di interesse più bassi, scambio con altre obbligazioni).
E’ quello che, ad esempio, ha fatto la Grecia nel 2012 con il cosiddetto Psi (Private Sector Involvement): uno scambio di obbligazioni (swap) che le ha consentito di abbattere del 50% circa il valore nominale di oltre la metà del suo debito.
Vuoi investire in Btp? Sappi che se lo stato si trova in difficoltà, può restituirti meno di quanto gli hai prestato. Questa, in estrema sintesi, la «clausola» che, dal 2013, si applica alla sottoscrizione di titoli del tesoro con durata superiore a 12 mesi.

Perché una ristrutturazione del debito passi, le regole attuali prevedono, nondimeno, che la stessa venga approvata dai detentori con due diverse maggioranze qualificate, una per tutte le tipologie di titoli, l’altra per ogni singolo titolo. Un modo per impedire che una minoranza di investitori, per barattare condizioni migliori, blocchi l’intero processo, tenendo in scacco un paese (il caso dell’Argentina ha fatto scuola in questo senso).
Adesso, Francia e Germania vogliono che la procedura venga semplificata, prevedendo una sola votazione. Apparentemente, la cosa sembrerebbe pensata per tutelare maggiormente gli stati, che con un solo passaggio porterebbero a casa il risultato. Ed in parte è vero: una ristrutturazione dei debiti più elevati, che poi sempre di default si tratta, non è più, d’altra parte, un tabù.

Eppure, l’insidia c’è: gli investitori, sentendosi meno tutelati nel caso di default di uno stato, contraccambierebbero alzando il prezzo dei propri prestiti. Maggiore il rischio, più alto il premio. Cosa che non gioverebbe certamente a paesi come l’Italia, con il suo debito che ha superato i 2300 miliardi di euro, che di nuovo si trova sotto la ghigliottina dei mercati.

Quindi? Per bilanciare un’eventuale corsa dei rendimenti, i paesi più indebitati dovrebbero agire dal lato delle politiche fiscali, facendo più austerità, esibendo avanzi primari (rapporto tra entrate e uscite dello stato al netto della spesa per interessi) più robusti.

Miopia, vista la crisi dell’intero progetto europeo. Peccato che l’Italia abbia dichiarato guerra a Bruxelles con la pistola ad acqua, senza nemmeno un alleato tra i paesi membri (perfino l’Ungheria ha invocato in queste ore il «rispetto delle regole»), con una manovra su cui pesa, al di là del deficit, l’incoerenza tra gli obiettivi macroeconomici dichiarati e gli strumenti pensati per conseguirli.