Dopo James Ellroy, Don De Lillo, Oliver Stone, i Rolling Stones, X Files e la sitcom Seinfield (per citare solo gli esempi più noti), anche Stephen King è caduto nell’incantesimo nascosto dietro all’8 mm sgranato dello Zapruder film, dedicando all’omicidio di John Kennedy uno dei suoi romanzi più belli e ambiziosi – un viaggio nel tempo nell’America di Norman Rockwell ma anche delle segregazioniste leggi Jim Crow che, nella sua conclusione altissima, diventa una riflessione sull’impatto della morte di JFK nell’immaginario politico/culturale della sua generazione, quella del «68» . Non a caso, il primo nome fatto per l’adattamento di 22.11.63 era stato quello di Jonathan Demme, un quasi coetaneo di King.

Sei anni dopo la pubblicazione – naufragato il tentativo di Demme, forse per la difficoltà di tradurre nella durata di un lungometraggio lo spessore e l’intricatezza delle 1000 e più pagine del romanzo – 22.11.63 è invece diventato una miniserie di nove ore, targata J.J. Abrams, e la prima produzione importante della piattaforma di streaming Hulu.

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Presentata come evento speciale al Sundance Film Festival, 22.11.63 ha esordito su Hulu (non nel formato binge declinato da Netflix e fatto suo anche dalle serie di Amazon ma in episodi settimanali di un’ora ciascuno) in USA il 14 febbraio, giorno in cui si celebrava il compleanno di Washington. Sarà in Italia, su Fox dall’11 aprile.

«Ho trovato il romanzo un delizioso guilty pleasure, reso meno guilty, cioè colpevole, dalla maestria con cui King ha combinato dei tropi che conosciamo tutti. Il libro ha un feeling veramente speciale, immersivo, ricco com’è di sfumature, dettagli, momenti quasi triviali, di pura descrizione, che non sono nemmeno legati alla trama. Gli ho fatto sapere quanto mi piaceva e, un anno dopo, King mi ha scritto per chiedermi se ero interessato a farne qualcosa per la tv», ha detto Abrams alla prima del Sundance chiarendo anche, però, che il suo ruolo creativo è stato molto minore di quello della showrunner a cui ha affidato il progetto, Bridget Carpenter (già dietro alle serie Friday Night Lights (conosciuta in Italia anche come High School Team, ndr).

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«King aveva l’ultima parola su tutto. Ed è stato molto presente. Ha letto ogni stesura, visionato ogni montaggio. Ma era molto aperto. Non ricordo un suo ’no’», dice Carpenter che, come da copione promozionale (non si parla di politica..), riassume la complicatissima architettura kinghiana in un generico «la storia di un uomo che vuole stabilire una differenza».

In 22.11.63, quell’uomo si chiama Jake Epping, fa il professore d’inglese ed è interpretato da James Franco (anche lui – part time- un professore d’inglese e un fan del libro, di cui aveva cercato di acquistare i diritti). Lo incontriamo, divorziato e forse non soddisfattissimo di se stesso, nel Maine dei nostri giorni. Ma, ben presto, attraverso le scale della dispensa di un diner locale finirà nel Maine dell’ottobre 1960. Affidatagli dal padrone del diner (Chris Cooper), che – a forza di andirivieni nel tempo – è diventato troppo vecchio e malato per portarla a termine la sua è una missione particolarissima: impedire a Lee Harvey Oswald di ammazzare John Kennedy.

Visto a Sundance, e diretto da Kevin McDonald (i registi dei futuri episodi saranno diversi, tra loro anche Franco), il pilota della serie lavora molto sulla ricostruzione d’epoca – nella provincia Usa all’alba dei sixties, filtrata per noi dal sguardo di Eppings, i colori sono vivaci, primari. La crostata, ha un gusto migliore, le auto sono più grandi, la vita scorre più lenta e amichevole; ma le donne sembrano dei soprammobili e, quando Epping fa per andare in bagno, un signore afroamericano gli spiega che la toilette dei bianchi sta da un’altra parte…Insomma, le crepe nell’american dream si vedono già tutte e, infiltratosi in un evento in onore di Kennedy (allora solo una solare promessa del firmamento politico a stelle e strisce), il mite professore deve vedersela con i servizi segreti che pensano sia una spia sovietica.

Come tutte le miniserie tratte da King (tra le tante: Under the Dome, It, The Shining, L’ombra dello scorpione), anche 22.11.63 è più lineare, meno complessa del libro che l’ha ispirata. Rispetto ai film, la dilatazione temporale del formato, accomoda meglio personaggi e snodi di trama, ma appiattisce le idee. Quasi sempre l’effetto è King annacquato, ma non sgradevole. Anche quello che abbiamo visto di 22.11.63 è un po’ così. Interessante, per i fan del genere, come vengono sottolineati i rari elementi soprannaturali presenti (il passato resiste con tenacia ai cambiamenti).

E comunque, l’effetto ipnotico di tutto ciò che avvolge ed è simboleggiato dalla morte di JFK, funziona ancora una volta. Alla fine del breve q&a, ha dovuto ammettere, ci è caduta anche la produttrice: «King, che fa fatto anni di ricerca sul tema, crede che Oswald abbia agito da solo. Ho iniziato abbracciando istintivamente il suo punto di vista ma, dopo due anni di lavoro, non la penso più così. Quando l’ho detto a Stephen, ha alzato gli occhi al cielo» «Oh, Bridget!».