Il 2014 rischia di essere per l’Unione europea un altro anno paradossale, come è stato il 2013, cominciato impantanato nella crisi dell’euro e finito con la perdita del rating AAA, ma con l’approvazione dell’Unione bancaria e il lancio riuscito del satellite Gaia, un super-telescopio che dovrà realizzare la cartografia della Via Lattea. A maggio ci saranno le elezioni europee, temute dai governi dei 28, perché è prevedibile un po’ dappertutto la crescita dei partiti anti-europei. Non si è mai parlato tanto di Europa come in questo periodo, ma solo per sfidarla, criticarla, proporre di uscire dalle sue costruzioni, a cominciare dall’euro, con Bruxelles (e Berlino) accusate di non avere soluzioni ma, al contrario, di aver aggravato la crisi, che da finanziaria è diventata economica, facendola pagare ai cittadini per salvare le banche. “I popoli contro l’Europa” è diventato un facile slogan, che purtroppo trova ogni giorno conferma nelle cronache (ieri ad Atene ci sono stati spari contro la residenza dell’ambasciatore tedesco). Le europee saranno molto probabilmente un terremoto, ma le istituzioni europee tarderanno a reagire: difatti, fino al prossimo autunno inoltrato la nuova Commissione non sarà operativa. Invece, il 2014 potrebbe segnare una spinta all’azione intergovernativa, cioè iniziative di stati a detrimento delle istituzioni comunitarie, paralizzate dai tempi istituzionali. Nel 2013, invece, è stata proprio questa iniziativa ad essere mancata. Tutto l’anno, praticamente, è passato in attesa delle elezioni tedesche del 22 settembre scorso (e poi in attesa del terzo governo Merkel). L’arrivo del socialista François Hollande sulla scena europea a maggio aveva fatto sperare se non proprio in una svolta, almeno in un’inflessione percepibile della politica del rigore, imposta dappertutto in Europa come reazione alla crisi del debito pubblico. Le briglie sono state certo un po’ allungate, ma l’iniziativa è stata guidata dalla Bce di Mario Draghi, che ha confermato nel 2013 la sua assoluta centralità per la conduzione dell’euro. Sarà la Bce a fare da supervisore per le grandi banche europee, la prima parte dell’Unione bancaria – approvata questo mese – ad entrare in vigore nel prossimo novembre. Hollande non ha potuto (e neppure voluto con determinazione) piegare Merkel, al di là di un timido progetto per combattere la disoccupazione giovanile (in media sopra il 25%, ma con punte fino al 40-50% nei paesi più in crisi), finanziato con soli 6 miliardi di euro (da paragonare ai 1600 miliardi per salvare le banche), pomposamente battezzato New Deal for Europe.

I risultati delle elezioni europee daranno la misura della distanza tra popolazioni e istituzioni europee, dell’incomprensione crescente. La Ue ha mostrato nel 2013 il suo lato “tecnocratico”: è intervenuta per “salvare” Cipro, la troika ha continuato ad occuparsi della Grecia imponendo austerità, alla fine dell’anno Irlanda e Portogallo, benché allo stremo, sono sulla via d’uscita dal tunnel. Ma l’Ue non è uscita da questo ruolo, l’unione politica sembra allontanarsi sempre più. Non c’è stata solidarietà per la tragedia degli immigrati di Lampedusa, gli alti gradi delle istituzioni di Bruxelles hanno sfilato sull’isola, ma alla fine c’è stato solo un maggiore coordinamento di Frontex, il varo del dispositivo Eurosur per i paesi della frontiera verso il Mediterraneo e 30 milioni di euro per aiutare l’Italia a far fronte alla gestione degli immigrati, che dopo lo scandalo delle umiliazioni a cui sono stati sottoposti i rifugiati nel centro di Lampedusa Bruxelles minaccia di riprendersi. Su un tutt’altro piano, non c’è stata solidarietà con la Francia, che si è lanciata in solitarie avventure militari in ex colonie africane, dal Mali al Centrafrica. Sulla Siria, l’Europa è rimasta paralizzata. Non c’è stata una reazione comune allo scandalo del datagate, con ogni paese che ha cercato invece di mascherare il più possibile le rispettive collaborazioni con lo spionaggio della Nsa. Anche nei rapporti con gli Usa, è l’approccio tecnocratico a guidare: nel 2013 è stato aperto ufficialmente il negoziato per arrivare al Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), la cosiddetta “Nato del commercio”, che mira a costruire un blocco che domina il 40% del commercio mondiale per meglio difendere l’occidente dagli assalti degli emergenti.