In Tahrir square i lavori continuano. Da un paio d’anni il governo egiziano è impegnato nel rifacimento della storica piazza, epicentro fisico e politico della rivoluzione del gennaio 2011. L’ultima novità ruota attorno a palazzo Mogamma, risalente alla metà del secolo scorso. Il primo ministro Madbouli ha annunciato la firma di un accordo da 200 milioni di dollari con un consorzio statunitense per la trasformazione dell’edificio, usato in passato a fini amministrativi: 14 piani e 1.356 stanze che ospitavano 9mila impiegati governativi. Mogamma diventerà un centro commerciale e turistico: hotel, negozi, spazi culturali.

Un progetto che rientra nel più ampio piano di trasformazione di piazza Tahrir e che a breve dovrebbe coinvolgere anche la sede del Partito nazionale democratico, ormai defunto, di Mubarak. L’obiettivo è fare della piazza un hub turistico e commerciale, in linea con le capitali europee, continuano a ripetere rappresentanti del governo.

Di fatto, è il tentativo di cancellare la storia di quella piazza e la sua «proprietà». È il timore espresso da tanti attivisti durante i lavori che hanno trasformato la piazza e costati 9,5 milioni di dollari: in mezzo ora c’è un obelisco di tre millenni fa, intorno quattro sfingi portate da Luxor (hanno protestato anche gli archeologi, ritenendole a rischio visto il transito di automobili nella nuova rotonda) e centinaia di palme che rendono più complesso usare la piazza per un presidio permanente.

«Penso che il messaggio principale – disse alla Reuters nell’agosto 2020 lo storico egiziano Khaled Fahmy – è che il popolo non appartiene alla piazza e la piazza non appartiene al popolo. Questa piazza appartiene allo Stato». Da cuore della mobilitazione per la democrazia a simbolo della gentrificazione turistica e commerciale, senza più la sua anima. Non a caso sull’obelisco una targa celebra «gli egiziani e la loro libertà ottenuta con la rivoluzione del 30 giugno». Quello del 2013, il giorno del golpe di al-Sisi. (chi.cru.)