A soli due giorni dal controverso referendum convocato dal governo catalano e dal Parlament di Barcellona, s’intravede, nel mezzo del polverone, qualche timido segnale di sensatezza, o seny, come piace dire ai catalani.

Dopo la correzione di tiro del Tribunale superiore di giustizia catalano, che ha rettificato gli ordini dati in precedenza dalla procura (Fiscalía), limitandosi a chiedere alle forze dell’ordine di impedire il voto domenica, ma senza necessità di sigillare scuole e seggi elettorali fin da oggi pomeriggio, come invece aveva chiesto il Fiscal originariamente, e soprattutto senza vietare gli assembramenti a meno di cento metri dai seggi, ieri un’ulteriore schiarita.

DURANTE LA GIUNTA di sicurezza catalana, convocata un po’ precipitosamente dal presidente catalano Carles Puigdemont per ieri, si è trovato un accordo fra ministero degli interni spagnolo, catalano, e forze dell’ordine che hanno deciso di applicare sensatamente il divieto di voto. Il numero 2 del ministero degli Interni, il sottosegretario di stato per la sicurezza, José Antonio Nieto, pur assicurando che i corpi di polizia garantiranno l’applicazione della legge e quindi che impediranno il referendum, ha aggiunto che c’è «l’impegno assoluto» che domenica «a Barcellona si svolga una giornata di celebrazione». E ha specificato, quasi come un suggerimento: «In un caso un picnic, nell’altro una manifestazione, si potranno esteriorizzare i sentimenti però senza violentare la legge». Come dire: via libera alle proteste sempre che non si voti. Può sembrare poco, ma in questo clima è un enorme passo in avanti.

IL MINISTRO DEGLI INTERNI catalano lo ha ribadito: i Mossos, ha detto, pur nel compimento degli ordini, «daranno la priorità alla convivenza».  D’altra parte, altri membri del governo Puigdemont (tutti del suo partito, il moderato PdCat) hanno chiarito di non essere favorevoli alla dichiarazione unilaterale di indipendenza, anche detta «Dui», cosa che ha ribadito lo stesso Puigdemont in una lunga e dettagliata intervista a eldiario.es. Il ministro dell’economia spagnolo, Luis de Guindos – che da tempo peraltro aspira a posizioni europee e quindi è votato ai toni conciliatori – è arrivato a dire in un’intervista alla televisione pubblica catalana che «la costituzione non è scritta nella pietra». Altra ovvietà, che però in questi giorni sembra una colomba di pace.

NON TUTTI ABBRACCIANO la politica dei cuoricini però: il ministro degli Esteri catalano Raül Romeva, del partito di Esquerra Republicana, a Bruxelles ha ribadito che la Dui ci sarà, mentre qualche genio del male comunicativo del Pp mercoledì sera ha ben pensato di diffondere dall’account twitter del partito un video dedicato all’ipotetica hispanofobia che si respirerebbe in Catalogna. Benzina sul fuoco. E ieri sera la Guardia civil ha sequestrato a Igualada 100 urne (finalmente ne hanno trovata qualcuna, anche se il sindaco dice che erano per un’altra cosa), due milioni e mezzo di schede e quattro milioni di buste (in Spagna il voto s’infila in una busta prima di metterlo nell’urna).

CONTINUA ANCHE LA GUERRA d’immagine: se Ada Colau ha scritto ai sindaci delle capitali europee e al Guardian per chiedere aiuto nel convincere la Commissione europea a scendere in campo e mediare fra il governo spagnolo e quello catalano, precisamente come hanno chiesto i Verdi europei proprio questa settimana, Puigdemont ha condiviso sul suo twitter il video di come si stampavano altre schede. Con l’emblematico commento «Minerva contro Anubis», dove Minerva è la dea dell’intelligenza, mentre Anubis, il dio egiziano della morte, è il nome dell’operazione della Guardia civil contro il referendum.

IERI DECINE DI MIGLIAIA di studenti universitari hanno anche marciato per le strade di Barcellona, mentre le sette università pubbliche catalane continuano a essere mobilitate, con occupazioni, scioperi e sospensione della didattica.

Per quanto riguarda le scuole, rimane l’incognita su quanti saranno i direttori scolastici che si prenderanno la responsabilità di aprire i plessi, come vorrebbe la Generalitat, che assicura loro che la responsabilità giuridica in ultima istanza ricadrebbe solo sul governo catalano. Ma i sindacati scolastici denunciano pressioni da parte della Generalitat sulla comunità educativa che, come il resto della società catalana, rimane divisa sul referendum. Una parte di loro ha manifestato con gli studenti universitari.