Se stiamo qui a sviscerare quel fenomeno culturale chiamato punk, ancora e sempre con interesse, è certo per ricordare e capirne i motivi, l’evoluzione e anche la fine, ma probabilmente è anche un monito a questa modernità che, da un lato, è schiacciata dal convenzionalismo dalla rappresentazione pubblica dei singoli, dall’altro, è incapace di intercettare gli scossoni che dal basso costituiscono i nuovi motori dell’underground (che esiste, malgrado tutto). Nel volume pubblicato da Goodfellas edizioni, collana Spittle, curato e scritto da Matteo Torcinovich (già autore fra gli altri di Grafika 80!, sempre per Goodfellas), 1977 Don’t Call It Punk – Storia illustrata dell’anno che cambiò per sempre la musica, sotto il focus finisce l’anno d’oro del punk e «anno del giubileo d’argento di Elisabetta II Regina del Regno Unito»; così si apre paradossalmente il libro di 496 pagine con illustrazioni e traduzione in inglese (39 €).

IL MAINSTREAM non si accorge subito del punk, «Rolling Stone Magazine» manda a Londra Charles M. Young che vede le Slits al Vortex Club per poi incontrare Malcom McLaren e i Sex Pistols, di cui tesserà le lodi. Per lo più, racconta Torcinovich, la stampa brancola nel buio, non cerca un motivo per cui dei giovanissimi sudati, all’apparenza malmessi e disadattati si buttano in orge di chitarre suonate male e bicchierate, si insegue soprattutto il gossip, l’infrazione, e tutti i pericoli dell’avanzata di una società degenerata: «Il punk è moralmente inaccettabile». Il conservatorismo, come sempre, non va alle cause ma ricorre e fa leva sul moralismo, distinguendo a priori ciò che è bene e ciò che è male. Il mondo fuori resta a distanza da quei locali una volta chiusa la porta nera, una barriera simbolica che presto viene valicata ma dall’interno, il punk infatti si sviluppa in tanti altri linguaggi modificandone le forme: editoria indipendente, poesia, teatro, fotografia e grafica specialmente (di cui nel libro troviamo tanti esempi più o meno conosciuti) che approdano al DIY. Tutti possono cambiare e generare il mondo che gli sta attorno, con i propri mezzi e le proprie peculiarità.
Com’è logico in questo libro siamo soprattutto in Inghilterra dove la scena prende piede, ci sono i locali e i concerti, le fanzine e i personaggi che l’hanno aiutata ad evolversi (e a scomparire), tanto materiale ricapitolato nella linea del tempo e con un comodo indice analitico in fondo, un diario di viaggio ricostruito postumo con cui l’autore mette in ordine gli episodi, attraverso i singoli mesi suddivisi in «fatti», «fanzines», «concerti».

PER AVERE un assaggio della densità degli avvenimenti: il 6 gennaio abbiamo la lettera con cui la Emi annulla il contratto ai Sex Pistols per comportamento scandaloso in pubblico, il 10 esce Leave Home dei Ramones, il 12 Rotten viene arrestato. Matteo Torcinovich ci permette di osservare da un piedistallo questi giorni palpitanti, un approfondimento che mette in scena un grande circo (nel senso più nobile e artistico) che da Londra si espande. Una maniera, anche, per solleticare oggi la rottura con il presente attraverso un movimento che, all’epoca, era stato considerato solo indecente. Oggi si direbbe deviante.