«Allende vive». Una certezza che ieri ha percorso le strade dell’America latina a quarant’anni dal colpo di stato che ha spazzato via il governo di Salvador Allende. Dal Cile al Venezuela, dall’Honduras all’Argentina, al Brasile, giovani e meno giovani sono scesi in piazza per ricordare l’11 settembre del ’73. Quel giorno, mentre i carri armati del generale Augusto Pinochet assediavano il palazzo presidenziale della Moneda, Allende scelse di suicidarsi, sparandosi con l’Ak 47 regalatogli da Fidel Castro. In questi giorni, le sue parole di lotta e di speranza sono tornate in piazza, nei numerosi filmati, mostre e documentari che hanno ripercorso le tappe di quella breve stagione. Dal Cile all’Europa, agli Stati uniti, bandiere e slogan contro quell’11 settembre organizzato a Washington hanno incrociato le proteste contro l’aggressione alla Siria e ricordato le tante «guerre imperialiste» giustificate a partire da un altro 11 settembre: quello del 2001, l’attentato alle Torri gemelle a New York. In Venezuela e in Honduras si è discusso dei nuovi modelli di golpe provenienti da Washington e si è manifestato «contro vecchi e nuovi fascismi».
In Cile, ogni 11 settembre si verificano proteste e scontri e centinaia di arresti. L’anno scorso, vi sono stati numerosi feriti, 280 giovani sono stati arrestati per aver eretto barricate in 350 punti del paese, e un carabiniere è morto. Ieri, al momento per noi di andare in stampa, il direttore generale dei Carabineros, Gustavo Gonzaléz comunicava solo scontri isolati in diversi punti della capitale Santiago. I carabinieri – ha detto – hanno dovuto disperdere alcune manifestazioni e arrestare 68 persone «responsabili di incidenti e barricate», in compenso le occupazioni degli studenti, in 7 scuole, si sono svolte senza incidenti. I carabineros hanno ulteriormente militarizzato per l’occasione «48 punti critici e 150 punti vulnerabili, pronti a contenere ogni situazione anomala che possa prodursi», ha affermato Gonzalez.
Il presidente a fine mandato, nonché rappresentante della destra, Sebastian Piñera ha proposto di recente l’introduzione di un nuovo reato per chi oltraggia un carabiniere, continuando sulla via delle leggi speciali, in vigore dai tempi di Pinochet. Ieri, durante un atto commemorativo nel palazzo della Moneda, ha affermato che parte della responsabilità nel golpe di quarant’anni fa è da attribuirsi a Salvador Allende che, nei suoi tre anni di governo (dal 1970 al ’73) avrebbe «violato la legalità e lo stato di diritto». Davanti ad altri esponenti della destra, che difendono i 17 anni di dittatura pinochettista, il presidente miliardario ha detto che, durante gli anni di governo di Unidad pupular «si verificò un crescente caoso politico, economico e sociale prodotto dalle politiche sbagliate», e che le responsabilità non sono tutte dalla parte di chi «ha compiuto violazioni dei diritti umani, ma anche di chi non ha rispettato lo stato di diritto promuovendo odio e intolleranza». Ovvero, Allende. Sono trascorsi 23 anni da quando Pinochet ha abbandonato il potere e sette dalla sua morte, ma il ricordo delle 3.200 vittime, tra le quali 1.200 desaparecidos, e 38.000 imprigionati o torturati resta ancora vivo per una parte del paese. Il dittatore ha lasciato la sua impronta nefasta che ancora perdura. I governi della Concertación, interrotti solo dall’attuale presidenza Pinera, primo capo di stato di destra dalla fine della dittatura, non sono riusciti a cancellarla. Per ricordare i desaparecidos, un migliaio di cileni si è steso a terra per le strade di Santiago. Secondo una recente inchiesta, il 49% dei cileni vuole «voltare pagina», il 25% no. Contrario il 43% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, che ieri sono tornati in piazza: per chiedere a Michelle Bachelet (ieri nella foto Reuters