Paragonato, nelle anticipazioni, a una specie di Mad Men del giornalismo, Good Girls Revolt (Amazon, 10 episodi. A partire dal 31 marzo), ricorda più l’energia e la premessa di Il diritto di contare che l’universo iperstilizzato e la qualità mitica del serial di Matthew Weiner. Come il film tratto dalla storia delle tre matematiche della Nasa, la nuova serie di Dona Calvo è ispirata a fatti e personaggi realmente accaduti, come descritti nel libro di Lynn Povich, Good Girls Revolt (2005).
L’anno è il 1969. Le brave ragazze del titolo sono le ricercatrici e le fact checkers del settimanale News of The Week, reporter ambiziose e spericolate, relegate dai maschi della redazione ai compiti più ingrati, a compilare «informative» e a passare/riscrivere pezzi su cui però il loro nome non appare mai. Nella realtà, il settimanale era Newsweek e Povich una delle quarantasei impiegate che, nel 1970, fecero causa alla testata per discriminazione sul posto di lavoro. In quello che diventò un caso famoso, il cui esito aprì la strada a simili iniziative presso Time, Newsday, Washington Post, Associated Press e New York Times, l’avvocato che le rappresentò era l’afroamericana Eleanor Holmes Norton, specialista di diritti civili presso l’American Civil Liberties Union, e oggi deputato al Congresso per il District of Columbia. Paradossalmente, alle redini di Newsweek in qualità di editore, era una donna, Katharine Graham, che poi avrebbe ricoperto lo stesso ruolo al Washington Post. E, dietro alle quinte della rivolta, c’era anche Nora Ephron che, prima di diventare una delle più pagate sceneggiatrici/registe di Hollywood, affilò la sua penna a forza di cronaca (spesso nera) per Newsweek e per il trucido New York Post.
Solo Holmes Norton (Joy Bryant) e Ephron (la figlia di Meryl Streep, Mamie Gummer) sopravvivono, dal libro di Povich, alla riscrittura di Calvo, che reinventa il resto dei personaggi ma cattura lo spirito del tutto con la stessa fedeltà con cui evoca i Rolling Stones ad Altamont, gli stampati a fioroni dei vestiti, le pettinature bouffant, le riunioni per sole donne nei salottini del Village e gli intrighi di sesso nell’infermeria della redazione.
In quest’atmosfera pervasa dei fermenti della controcultura, di free love e dell’eccitazione degli albori del femminismo (documentato da Newsweek, e da News of the Week, con uno speciale con donna nuda in copertina!) rende ancora più stridente il trattamento grottesco a cui vengono sottoposte Jane, Patti, Cindy, Nora e le altre, ognuna di loro «accoppiata» a un giornalista maschio che lavora meno e si prende tutta la gloria. «Siete come dei carcerati che litigano per la branda più in basso», dice Ephron/Gummer alle colleghe, dopo essersi licenziata quando il direttore (Jim Belushi) si rifiuta di farle firmare un pezzo che ha scritto lei. «Nel giornalismo, tutto quello che hai è il tuo nome. Buona fortuna, Nora Ephron», abbaia il tiranno, per cui le ricercatrici sono ragazze da cui ci fa portare il caffè. A ridere, ovviamente, sarà lei. E, parlando di ridere, Good Girls Revolt oltre ad essere ben fatta e divertente, ha il pregio di farti pensare che le cose non sono poi cambiate (per il meglio) tanto quanto uno vorrebbe credere.
Appena eletto, Barack Obama, ha firmato il Lilly Ledbetter Act, contro la discriminazione tra sessi negli stipendi. Sembra incredibile che nessuno ci avesse pensato prima. Appena eletto, Donald Trump ha mandato in giro una circolare precisando che, nella sua Casa bianca, le impiegate devono vestirsi «da donna».