Das Verratene Meer di Hans Werner Henze è stato uno dei titoli che l’Opera di Vienna ha proposto in streaming lo scorso inverno, durante la fase più acuta della pandemia: la spettrale sala priva di pubblico aveva forse attutito l’intensità crudele e elettrizzante dell’opera. Ora il pubblico è tornato nei teatri viennesi e in tre sere fra il 21 e il 23 settembre ci si poteva immergere in un tour de force inebriante: prima lo splendido allestimento di Rappresentazione di anima et di corpo di Emilio de’ Cavalieri curato da Robert Carsen al Theater an der Wien, protagonisti Il giardino armonico, l’Arnold Schoenberg Chor e un eccellente cast guidato da Giovanni Antonini, seguito nella stessa sala dal vortice virtuosistico della Concordia de’ pianeti di Caldara, cantata d’occasione riesumata in concerto da Andrea Marcon, ottimi cantanti e l’Ensemble la Cetra; infine Das Verratene Meer ( Lo sdegno del mare), libretto di Hans-Ulrich Treichel tratto dal romanzo Gogo No Eiko – Il sapore della gloria di Yukio Mishima, proposto allo Staatsoper nella versione tedesca della creazione berlinese del 1990, integrata con elementi della revisione in lingua giapponese del 2003, allestita nel 2010 al Festival di Spoleto. La vicenda origina dal morboso rapporto fra una vedova e il figlio adolescente e dal viluppo di gelosia, odio, attrazione e repulsione generato in quest’ultimo dall’amore fra la madre Fusako, soprano, e l’ufficiale di marina Ryuji, basso.

NOBURU, IL FIGLIO, è anche fortemente influenzato da un gruppo di coetanei, per guadagnare il rispetto dei quali si spinge a elaborare e mettere in atto un piano per assassinare il marinaio e distruggere così la felicità della madre. La regia di Jossi Wieler e Sergio Morabito segue con tempi perfetti lo sviluppo drammaturgico-musicale, raggelando il clima torbido della storia negli eleganti volumi di cemento ideati da Anna Viebrock, una visione della Yokoama degli anni ’60 che si ricompone continuamente evocando ora la casa di Fusako e la camera da cui Noburu spia il corpo della madre, ora il porto, il parco, l’ elegante boutique di Fusaki, la nave militare, fino a un dock semibuio, il teatro del delitto.

IL RUOLO predominante dell’orchestra era esaltato da Simone Young, che dal podio governava con energia il gioco di assemblaggi fra i differenti impasti timbrici, calibrati sapientemente per corrispondere alle emozioni contrastanti dei personaggi. Cadenzata da brevi intermezzi orchestrali, l’azione procede con ritmo spedito fra improvvisi scarti, da sonorità raccolte a espansioni liriche fino a incontenibili esplosioni magmatiche. Svettante il soprano Vera-Lotte Boeker che dipanava magnificamente anche le aspre colorature finali composte per la versione giapponese, mentre il baritono Bo Skovhus tratteggiava un Ryuij ruvido e nostalgico. Formidabile la caratterizzazione di Noburu del tenore Josh Lovell, come ottimo per canto e recitazione il quartetto degli amici, il controtenore Kangmin Justin Kim, i baritoni Erik van Heyningen, Stefan Astkahov e Martin Hässler. Sala non esaurita ma pubblico entusiasta.