Datate 1935 ci giungono parole che bene si applicano alla odierna condizione quotidiana, segnata dalla persistente pandemia. «I valori ideali perdono la loro pura vitalità universale, la loro capacità idealmente risolutiva, entrano in conflitto con la realtà». Ne consegue che «la vita non si lascia risolvere nei valori ideali, incapace di idealizzazione si dissolve in sé, si svia». Si tratta di pensieri appuntati da Antonio Banfi (1886-1957), dense notazioni che recano i significativi titoli di La crisi e di Inquietudini e certezze dell’ora presente.

Una tale situazione di discordanza, di sfasatura, di «disquilibrio si riflette nei rapporti personali abbandonati o a forze elementari o a velleità individuali, o a intrecci complessi di motivazioni». E Banfi procede nella elencazione dei sintomi di sconnessura che si manifestano nei ‘rapporti personali’: «si sconnettono i rapporti tra ceto e ceti, tra generazione e generazione, tra uomo e donna, dal che deriva un disequilibrio nei rapporti familiari, educativi, erotici, sociali». Ne risultano complicanze e divergenze che investono la stabilità e compromettono i riferimenti e le misure, quei supporti necessari a stabilire gli equilibri di ciascuna persona, i bilanciamenti dai quali «dipendono la certezza della sua esistenza, il suo benessere, la possibilità efficacia e continuità della sua opera, la riflessa coscienza della propria personalità come qualcosa di sicuro, universalmente riconoscibile nell’intimo quindi della personalità stessa, come mancanza di equilibrio spirituale, di certezza di sé, del proprio mondo, della propria attività, una mancata gerarchia delle proprie energie interiori, un gioco incerto di sentimenti, un’incomprensibilità di sé e degli altri».

In quel medesimo anno 1935 Johan Huizinga (1872-1945) pubblica Nelle ombre del domani. La traduzione italiana, con il titolo La crisi della civiltà, esce presso Einaudi nel 1937. Nel primo capitolo – La sensazione del decadimento – si legge: «oggi la coscienza di vivere in mezzo a una crisi di civiltà violenta, e che minaccia rovina, è penetrata in tutti gli strati sociali» e «l’immediato avvenire ci si spalanca davanti come un abisso circonfuso di nebbia». E si chiede: «lo svolgimento culturale cui assistiamo non è piuttosto un processo di imbarbarimento, in virtù del quale una situazione spirituale d’alto valore venga a poco a poco soffocata e ricacciata indietro da elementi di più basso livello?».

La coscienza contemporanea della crisi comporta una corrispettiva meditazione sul concetto storico di decadenza. Huizinga sa ben distinguere, pur nell’intreccio che pare assimilare crisi e decadenza, i tempi e i modi propri dell’una, peculiari e ben diversi da quelli che contrassegnano l’altra. Banfi della crisi privilegia la valenza affermativa: «se la realtà appare in crisi e problematica, non ci resta che accettarla e penetrare nella verità della crisi. E penetrando appunto ci si accorge che gli elementi negativi della crisi stessa si trasformano in positivi; che la problematica si trasforma in vita e vita libera ad assumere in sé la forma più conveniente per la sua espansione».

Huizinga revoca in dubbio questa possibilità di ‘penetrare nella verità della crisi’ se, nella condizione attuale, «con la svalutazione della parola, detta o stampata, sale, in proporzione diretta, l’indifferenza per la verità». Dunque l’imbarbarimento non si lascerebbe scalfire, e si estenderebbero d’attorno i suoi effetti. Banfi considera il «segreto fecondo del negativo della situazione contemporanea», cioè l’intima e più peculiare essenza della crisi, quella di affermarsi come «amore di questa libertà creatrice, di questa energia che nella persona è il superpersonale, come nella storia è il superistorico che attinge appunto solo attraverso l’abisso del negativo, le forze dell’umanità filtrate da ogni elemento impuro».

L’«abisso circonfuso di nebbia» resta innanzi agli occhi di Huizinga. Per Banfi «solo attraverso l’abisso del negativo» ciascuna persona consegue, al contempo, «infinita inquietudine e infinita certezza».