L’Ocean Viking, la nave dell’ong Sos Méditerranee, attende un porto sicuro di sbarco dal 26 giugno. In cinque giorni, quattro soccorsi si sono susseguiti e adesso a bordo ci sono 180 naufraghi (tra cui due donne). L’ultima operazione è avvenuta martedì notte, 40 miglia a sud di Lampedusa: 16 migranti erano in pericolo su una barca in vetroresina dopo giorni di navigazione. Le operazioni, in questo caso, sono avvenute sotto il coordinamento delle autorità italiane. Lo stesso giorno, nel tardo pomeriggio, c’era stato un altro salvataggio: 47 migranti su un barcone in zona Sar maltese, tutti gravemente disidratati perché alla deriva da 4 o 5 giorni senz’acqua dalla loro partenza dalla Libia. Eppure ieri per la quinta volta Sos Méditerranée ha chiesto un porto sicuro e per la quinta volta non c’è stata risposta, né da La Valletta né da Roma.

R. È BENGALESE, è stato salvato giovedì scorso con altre 66 persone su un barcone in legno. Ai volontari ha raccontato la sua storia: «Ho lasciato moglie e due bambini per trovare lavoro in Libia. Pensavo che la guerra fosse finita ma ho trovato un paese pericoloso. La prima volta che ho tentato la fuga la Guardia costiera libica mi ha preso, buttato il passaporto e imprigionato. L’unico modo per liberarmi è stato pagare». Ci ha messo un anno per uscire dall’inferno. Sul ponte dell’Ocean Viking è stato organizzato «un salone» da barbiere grazie a due parrucchieri professionisti rintracciati tra i sopravvissuti, bloccati in un limbo tra Italia e Malta. È un modo per smaltire la tensione: alcuni sono in mare da 8 giorni, una situazione insostenibile.

SI MOLTIPLICANO LE PARTENZE ma le autorità europee non avviano operazioni di salvataggio così i naufragi avvengono nel silenzio. Ieri l’ong Sea Watch ha raccontato: «Un altro corpo senza nome è stato avvistato martedì dall’aereo Seabird in acque internazionali, al largo della Libia. È il secondo in due giorni. Abbiamo fornito le coordinate alle autorità chiedendone il recupero, oltre che la verifica delle circostanze dell’ ennesima morte». Poi in serata nuovo avvistamento: «Tre imbarcazioni a sud di Lampedusa in zona Sar maltese. A bordo circa 110 persone in totale. Il soccorso è un obbligo per gli stati».

IN SALVO AD AUGUSTA in Sicilia, invece, i 43 naufraghi intercettati lunedì scorso dalla nave Mare Jonio di Mediterranea saving humans. Nel gruppo c’è anche una famiglia siriana con due figli: «Nel nostro paese la vita è impossibile – hanno raccontato -. Vivevamo a Damasco, siamo dovuti fuggire. Le scuole sono un bersaglio per le bombe oppure passano uomini armati in motocicletta e sparano alle finestre. Scontri, rapimenti, abbiamo venduto casa per pochi soldi e siamo scappati. In Libia abbiamo trovato ancora la guerra, feroce. Una sola strada aperta, quella del mare. Di notte i miliziani ci hanno ordinato di salire a bordo di una piccola barca in vetroresina di 5 metri. Ci hanno accatastati come animali e ci hanno spinto in mare sotto la minaccia delle armi. Ci hanno dato una bussola e ci hanno detto: “Andate a nord”. Siamo stati due giorni in mare, le onde erano alte, l’acqua entrava. Abbiamo tagliato le bottiglie di plastica per svuotare la barca. Così siamo sopravvissuti».
Si moltiplicano anche gli arrivi autonomi sulle coste italiane. Nelle ultime ore ci sono stati 11 sbarchi a Lampedusa: 116 i migranti soccorsi dalla Guardia di finanza e della Capitaneria di porto. Nell’hotspot di contrada Imbriacola ieri c’erano 209 ospiti. Oggi in 80 saranno trasferiti a Porto Empedocle.

SULL’ISOLA DI MARETTIMO, nel trapanese, sono arrivati 9 tunisini su un gommone. Si tratta del secondo sbarco in una settimana. Infine, in Sardegna sono sbarcati 17 algerini, incluso un padre con la figlia di 5 anni. Erano su un barchino approdato a Sant’Antioco. In 24 ore sono stati circa 100 gli algerini arrivati sulle coste sarde.

DAL CONFINE EST DELL’EUROPA ieri è arrivata la notizia di un naufragio: almeno 6 le vittime accertate ma il conto dei morti è destinato a salire. Il barcone è affondato nel lago di Van, in Turchia, sabato notte. Squadre di sommozzatori sono al lavoro per cercare di rintracciare il relitto, che si troverebbe a una profondità di 120 metri. A bordo erano circa in 60, provenienti da Pakistan, Afghanistan e Iran.