Cinque anni fa, attraverso la modifica costituzionale dell’art.81 – imposta dalla governance europea e accettata supinamente da quasi tutto il parlamento – sono state «legalizzate» nel nostro paese le politiche di austerità.

Le diverse culture che hanno dato vita alla Costituzione sono state schiacciate da una solo punto di vista, quello liberista.

A cinque anni di distanza, sempre più cittadini e realtà sociali si rendono conto che le politiche di austerità introdotte con il pareggio di bilancio non ci mettono nella condizione di rispettare l’impegno di garantire i diritti fondamentali. Prima l’economia e la finanza poi i diritti. L’intangibilità umana che rappresenta il fine ultimo della nostra Carta, subordinato alle priorità di banche e finanza. Un attacco al cuore della democrazia di cui oggi intuiamo gli esiti. Siamo entrati in regime di “universalismo selettivo” come ci ha detto il governo, comunicandoci che, a parità di diritti, lo Stato non può soddisfarli tutti.

In base a questi «princìpi» è stato tagliato il 90% al Fondo Nazionale Politiche Sociali e siamo gli unici a non aver introdotto una misura di sostegno al reddito come chiediamo da tempo attraverso la campagna per il «reddito di dignità». Le politiche sociali, gli investimenti per il lavoro, la scuola pubblica, la sanità, la casa, la difesa del territorio, non sono prioritari e soprattutto ci viene raccontato che non ce li possiamo più permettere. La democrazia come variabile di costo!

La distanza dei gruppi dirigenti e la loro completa sudditanza ad una visione dell’economia e del mondo già condannate dall’evidenza dei numeri, hanno determinato l’esplosione della crisi nel nostro paese. Una crisi che nasce proprio per l’aumento delle disuguaglianze.

Raddoppiano i numeri della povertà relativa (9 milioni di persone) e triplicano quelli della povertà assoluta (5 milioni). Triplica anche il numero dei miliardari – 342 nel nostro paese – a riprova del fatto che il problema non è l’assenza di ricchezza o di crescita bensì di redistribuzione della ricchezza, modelli industriali scelti, regimi fiscali e politiche sociali.

A causa dell’austerità e dei tagli alla scuola pubblica, oggi l’Italia è il peggiore paese per dispersione scolastica (17,6%), il peggiore per impoverimento della popolazione giovanile, quello che ha investito meno di tutti in istruzione e cultura, quello che ha il maggior numero di precari e con la peggiore distribuzione della ricchezza insieme alla Gran Bretagna. Tutto questo in appena otto anni.

A trarne ovviamente beneficio sono le mafie che hanno visto enormemente accresciuto il loro potere di penetrazione e ricattabilità all’interno di una società sempre più povera, fragile e impaurita.

Oggi invece di parlare delle responsabilità di una classe politica che dovrebbe scomparire per gli errori e gli orrori compiuti in questi ultimi anni, ci viene proposta come questione emergenziale e centrale per le nostre esistenza il tema dell’invasione dei migranti strizzando gli occhi ai peggiori istinti che stanno scatenando una guerra del povero contro il più povero.

Sono riusciti a rendere invisibili errori giganteschi, a non pagare nulla per questo, rimanendo nei posti di comando, volendoci convincere persino che le nostre vite sono peggiorate a causa degli «stranieri». Per questo non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo cedere a questa lettura della realtà.(…).

Dopo tanti anni di austerità e crisi, anche nel nostro paese – come già avvenuto in Portogallo, Grecia, Spagna – abbiamo compreso che solo grazie alla mobilitazione dal basso costruita dai cittadini e dalle realtà sociali impegnate contro la povertà e le mafie, per l’accoglienza, i diritti sociali, la casa, sarà possibile invertire la rotta e rimettere al centro l’impegno per la giustizia sociale. (…).

Il 14 ottobre a Roma e in altre 50 città è giunto il momento di tornare in piazza #Adaltavoce per dare forma e sostanza alla speranza.