Sono 121 i naufraghi salvati il 28 novembre da due navi umanitarie, l’Alan Kurdi e l’Ocean Viking, e che si trovano nel mezzo del Mediterraneo in tempesta. Difronte al silenzio dell’Europa, gli attivisti tedeschi di Sea Eye, a bordo dell’Alan Kurdi, si sono rivolti ieri al sindaco di Palermo: «Caro Leoluca Orlando, abbiamo 61 persone a bordo che hanno urgente bisogno di un porto sicuro. Nelle prossime ore prevediamo onde alte, le persone sono esauste. Ti chiediamo di aprire il porto della tua città». La risposta è subito arrivata: «Palermo è una città accogliente. Chiedo al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di intervenire per garantire lo sbarco immediato a Palermo». La nave sta risalendo la costa siciliana con la prua verso lo stretto di Messina.

Lunedì mattina due naufraghi sono svenuti. Domenica, in acque maltesi, in quattro sono collassati: «La Valletta ha respinto la nostra richiesta di soccorso. Roma non ha risposto». Sabato in otto erano stati trasbordati verso Lampedusa per le loro condizioni mediche critiche. Tra loro un neonato e due bimbi di quattro e otto settimane: soffrivano di disidratazione e malnutrizione. Via mail Malta ha poi informato la nave che «le persone non sono sotto la loro responsabilità né considerate un’emergenza – raccontano da bordo -. I centri di coordinamento di Roma, La Valletta e Brema rifiutano di intervenire da sabato scorso a mezzogiorno. I tedeschi hanno persino raccomandato di contattare la cosiddetta Guardia costiera libica».

La dottoressa di bordo, Barbara Hammerl-Kraus, spiega: «Siamo sconvolti dall’irresponsabilità dei centri europei di controllo marittimo. Siamo come un’ambulanza, con le nostre risorse non saremo in grado di farcela con i crescenti casi di emergenza». Il presidente di Sea Eye, Gordon Isler, attacca: «L’Italia scarica la responsabilità del soccorso su Brema. Il governo di Malta sta attraversando una crisi politica ma la catena di comando dei salvataggi de La Valletta e Roma è completamente svanita. È anche singolare che, in Italia, i membri del Pd fossero interessati al salvataggio in mare e ai diritti umani quando erano all’opposizione. Il loro interesse è ora notevolmente diminuito».

Sull’Ocean Viking, la nave gestita dall’ong francese Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, sono in 60: erano a una centinaio di miglia dalle coste libiche su un barcone di legno, sovraccarico, di notte e nel mezzo di una burrasca, quando i volontari li hanno trovati. Tra loro ci sono 17 minori non accompagnati e due donne, una ha due figli: uno di 3 anni e l’altro di 3 mesi. Il tempo da lunedì è in peggioramento: le onde stanno causando mal di mare e vomito così gravi che i naufraghi chiedono le iniezioni per controllare gli spasmi. In molti sono stati curati dall’equipe di Msf per lesioni traumatiche riportate in Libia. Un paziente è sotto stretto controllo: avrà bisogno del trasporto immediato in ospedale quando riuscirà a sbarcare. Anche in questo caso Roma e La Valletta hanno rifiutato il coordinamento del soccorso così oggi comincia il sesto giorno a bordo mentre la nave fa la spola nelle acque internazionali tra Italia e Malta.

I 60 sono stati comunque fortunati. Domenica scorsa l’Ocean Viking è stata contattata da un mercantile che aveva salvato 33 naufraghi ma, poiché non è stata data l’autorizzazione al trasferimento, la Guardia costiera libica li ha riportati a Tripoli. «Le persone a bordo sono terrorizzate di tornare in Libia – spiega Frédéric Penard, direttore delle operazioni di Sos Méditerranée -. La Libia non può essere considerata un luogo sicuro di sbarco. Lo dicono tutti, compresi i leader europei e i loro governi. Allo stesso tempo, i leader europei si rifiutano di assumere la responsabilità del coordinamento e continuano a rimandarci alla Guardia costiera libica. Le uniche opzioni dei naufraghi sono essere ripresi contro la loro volontà o morire in mare».