Come la complessità è il mezzo attraverso cui la natura si rigenera e cura se stessa, anche l’approccio che ci permette di trovare soluzioni durature per contrastare i cambiamenti climatici non può che essere articolato rispetto ai diversi parametri che lo compongono. E’ ciò che emerge chiaro dal nuovo report dell’associazione Terra!, 12 passi per la terra (e il clima) che, a partire da un’analisi dettagliata delle criticità che attraversano il comparto agricolo italiano, cerca di delineare un’agenda di interventi sia legislativi che tecnici per uscire «dalla spirale di crisi in cui il settore agricolo rischia di restare invischiato», come diramato nel comunicato stampa.

L’ANALISI METTE IN EVIDENZA infatti come l’agricoltura sia allo stesso tempo vittima degli eventi atmosferici avversi e una delle loro principali cause. Una nota purtroppo non scontata, in un Paese come il nostro dove gli eventi estremi come siccità, inondazioni e temperature elevate sono sempre più comuni (il rapporto ne conta 1400 avvenuti solo in questo anno) ma che ancora le autorità fanno fatica a annoverare sotto al cappello comune del cambiamento climatico.

«STIAMO ANDANDO VERSO una situazione in cui tra qualche anno sarà sempre più difficile coltivare una serie di prodotti in Italia. Molti dei territori da cui provengono le produzioni Dop, Igt e tutti quei marchi su cui abbiamo costruito la carriera del Made in Italy, probabilmente perderanno la vocazione. Avremo il paradosso di poter fare il vino in zone dell’Europa in cui oggi è impensabile, e non più in Italia, oppure aree con fenomeni siccitosi, come la Sicilia, in cui stanno già aumentando le produzioni di frutti tropicali. Tutto questo andrebbe letto sul piano politico, invece c’è un problema culturale che ci porta a non riconoscere che quando avvengono le così dette bombe d’acqua o le ondate di calore non si tratta di maltempo, ma di eventi estremi che come tali andrebbero letti. Basta pensare all’ultima gelata che ha attraversato il nostro Paese e che sta rischiando di far chiudere migliaia di aziende ma di cui non si è parlato», sottolinea Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra!, rimarcando come, per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, si ricorrerà sempre di più alla genetica, alla tecnologia e all’impiego di input di sintesi. A quale prezzo?

IL RAPPORTO CI RICORDA CHE L’ITALIA è il terzo Paese europeo per consumo di pesticidi, che raggiunge le 115 mila tonnellate annue, mentre l’utilizzo di fertilizzanti è di 4,5 milioni di tonnellate. Nonostante La strategia Farm to Fork elaborata dalla Commissione Europea, che prevede una riduzione del 50% nell’uso dei pesticidi entro il 2030, e il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari che ha permesso di ridurne l’uso dell’8.9 per cento nel nostro Paese, l’associazione denuncia livelli ancora troppo alti e chiede misure più restrittive e vincolanti, che portino alla sostituzione con trattamenti naturali e non nocivi per la salute.

LA PERVASIVITA’ DEI PESTICIDI EMERGE dai dati Ispra sull’inquinamento delle acque, che riguarda il 24% di quelle superficiali e il 6% di quelle sotterranee analizzate, ma i cui numeri aumentano significativamente quando si prendono in considerazione non solo le zone di monitoraggio.

LA MINACCIA RAPPRESENTATA dagli apporti chimici per le specie insettivore si unisce a quella dei cambiamenti climatici, che stanno mettendo in pericolo la biodiversità del nostro pianeta in maniera irreversibile. Il rapporto mette in evidenza come le numerose specie di insetti rappresentino un aiuto fondamentale nell’assicurare la salute dei campi, contribuendo alla decomposizione del materiale organico e alla fertilità del suolo; difendendo naturalmente le piante dai parassiti con la lotta biologica o assicurando l’impollinazione, da cui dipende il 30% del cibo che consumiamo, come mette in evidenza il report a partire dallo studio dell’Ipbes, Pollinators, Pollination and Food Production, del 2017.

L’AUMENTO DELLE TEMPERATURE potrà provocare un disequilibrio fra insetti, aumentando il pericolo di invasioni di specie dannose, come quella di locuste avvenuta in Sardegna la scorsa estate e che ha provocato ingenti danni ai raccolti. L’agricoltura industriale è anche causa di un forte impoverimento dei suoli, che potrebbero assorbire gran parte delle emissioni di C02 se trattati in maniera adeguata mentre si stima che 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile vengano persi ogni anno, 55 km solo nel nostro Paese, in cui manca ancora una legge sul consumo di suolo nonostante gli impegni siglati a livello internazionale e europeo.

RIPENSARE L’AGRICOLTURA A PARTIRE dalla natura diversificata del modello agroecologico si presenta quindi come una scelta fondamentale per ripristinare l’integrità dei territori e delle specie che li caratterizzano.

I 12 PASSI PROPOSTI DALL’ASSOCIAZIONE puntano al raggiungimento di obiettivi concreti che mettano in essere i principi riconosciuti dalle recenti politiche europee, per esempio orientando i fondi della Politica Agricola Comune (Pac) perché non vadano a incrementare gli allevamenti intensivi, responsabili di gran parte delle emissioni del comparto agricolo, permettendone la graduale conversione sostenibile; incoraggiando il ricambio generazionale in un’agricoltura che vede sempre meno giovani impiegati; promuovendo la produzione di cibo locale e di qualità, anche attraverso l’introduzione di etichette che permettano al consumatore di conoscerne la provenienza e al produttore di responsabilizzarsi e scoraggiando le pratiche di commercio sleali, che ledono i diritti dei lavoratori e alimentano lo spreco.

«IN PRIMO LUOGO – SPIEGA IL RAPPORTO – dovremmo condividere l’idea che l’impatto ambientale e climatico è una conseguenza del modo estrattivo di organizzare la vita sul pianeta. La rottura di questo paradigma passa giocoforza dal ripensamento complessivo del ruolo del vivente rispetto alla sfera del valore economico», si legge nel report, che tende a rimarcare come questa non possa essere messa in atto agendo sui singoli segmenti del processo, ma solo attraverso una radicale riforma del sistema alimentare che coinvolga la politica, i produttori e la società civile.