Diverse esplosioni – almeno undici – in Thailandia, per lo più nelle regioni meridionali, hanno provocato quattro vittime e decine di feriti, tra cui due italiani. Il governo del paese, guidato dai militari, ha prima escluso il terrorismo e poi richiamato all’unità nazionale.

Il fatto è che tra bombe (artigianali e attivate mediante telefoni cellulari), ordigni inesplosi, piccoli incendi, tutto sembra portare a una strategia molto precisa, benché al momento ancora misteriosa. Essendoci inoltre una giunta militare al potere sarà molto difficile scoprire cosa sia successo davvero in un paese che vive per lo più di turismo, con 30 milioni di nuovi arrivi ogni anno. Da un lato si è voluto colpire soprattutto alcune zone turistiche, dall’altro appaiono sospette alcune ricorrenze, come il compleanno della regina e la concomitanza con gli attentati al tempio buddista dell’agosto 2015.

Sul fronte delle indagini, secondo i media locali ci sarebbero due persone in stato di fermo e sotto interrogatorio, ma ai reporter che chiedevano lumi uno dei rappresentanti della polizia thailandese ha risposto: «La soluzione trovatela voi». Tutto è cominciato nel tardo pomeriggio di giovedì a Trang, nell’estremo sud: un morto. Poi nella serata doppio ordigno nei pressi della meta turistica di Hua Hin.

La seconda bomba è scoppiata in una via piena di gente, ha ferito un venditore ambulante e altre venti persone (tra le quali nove europei e i due italiani). Ieri, in mattinata il resto: un altro ordigno a Hua Hin ha causato un morto e quattro feriti. Altre due bombe sono esplose a Surat Thani, con un’altra vittima. Due ordigni minori sono scoppiati anche a Phuket, causando un ferito. Altre due bombe sono state segnalate a Phang Nga, e bombe inesplose sono state identificate e disinnescate dagli artificieri in varie località.

Considerando anche una serie di incendi scoppiati nella notte in negozi e mercati, le autorità hanno stabilito che le province colpite dagli attacchi sono state sette. Il premier Prayut Chan-o-cha ha invocato «l’unità del popolo thailandese: dobbiamo aiutarci a vicenda per ripristinare la sicurezza nel paese». «Dobbiamo unirci per eliminare il male dalla nostra società», ha aggiunto sottolineando come «gli attacchi rivelino la mentalità di alcuni thailandesi e il fatto che alcuni elementi malvagi ancora esistano nella nostra società».

La giunta militare thailandese è al potere dal 2014 a seguito di un golpe che ha messo fine alle tensioni degli anni scorsi. Nello scontro, in breve, erano contrapposti i sostenitori delle elite cittadine e della monarchia, di cui fa parte anche l’esercito e le cosiddette camicie rosse che fanno riferimento alle zone rurali del sud (e forse suoi ex appartenenti costituiranno l’oggetto di eventuali repressioni) e sono da considerarsi vicine all’ex primo ministro Thaksim Shinawatra, oggi in esilio. La sorella di Thaksim, una volta al potere, tentò di far tornare il fratello scatenando nuove proteste, terminate con il golpe dei militari nel 2014.

Questi ultimi, a seguito dei recenti attacchi, sembrano puntare su una pista interna, che tutto sommato giustificherebbe più di altre spiegazioni una nuova stretta securitaria. Gli attentati arrivano pochi giorni dopo il referendum sulla nuova costituzione che ha segnato un punto a favore dei militari, che da ora in avanti potranno gestire il senato e la nomina del futuro primo ministro.

Nel sud del paese, da tempo, ci sono movimento insurrezionali indipendentisti e alcuni di matrice più specificamente salafita, ma appare strano che possano essere loro ad aver organizzato attentati in zone turistiche. Il loro modus operandi è sempre stato diverso, privilegiando altri obiettivi e altre metodologie. La loro battaglia contro Bangkok va avanti dal 2004 e ha fatto almeno 6mila vittime.

E poiché la Thailandia, come altri paesi dell’area, vive soprattutto di turismo, ecco che il governo pensa a un sabotaggio interno. Gli attacchi sono inoltre giunti nel giorno della festa nazionale della mamma e del compleanno della regina Sirikit. Sia lei sia il vecchio monarca, Bhumibol Adulyadej, pare vivano in ospedale, tenuti in vita solo per non provocare ulteriori sommovimenti sociali.