L’ultimo sfregio del governo Bolsonaro nei confronti dei popoli indigeni è stato la recente nomina a capo del Dipartimento per gli Indiani incontattati del Funai  (Fondazione nazionale dell’Indio) di Ricardo Lopes Dias, missionario evangelico legato a New Tribes Mission (Ntm), una delle più grandi ed estremistiche organizzazioni missionarie della chiesa evangelica, il cui obiettivo è convertire a qualsiasi prezzo i popoli incontattati del mondo. Un gruppo di pubblici ministeri del Brasile ha chiesto ai giudici di sospendere la nomina perché costituisce un reale «rischio di etnocidio e genocidio» per le tribù incontattate, popoli custodi di luoghi con la maggior biodiversità del pianeta. Sono 100 tribù solo nell’Amazzonia brasiliana, vivono in fuga nel tentativo di evitare il contatto con chi vuole impossessarsi delle loro terre; vulnerabili, non hanno difese immunitarie verso malattie comuni introdotte dall’esterno, al primo contatto rischierebbero l’estinzione. Ma Bolsonaro lo aveva detto insolente nel corso di un’intervista prima di vincere le elezioni: «Se diventerò Presidente, non ci sarà un solo centimetro in più di terra indigena», correggendosi e affermando arrogante nel corso della stessa che intendeva dire «millimetro”. E ancora con violenza verbale, nel linguaggio rozzo e militaresco che lo contraddistingue: «Sferrerò un colpo al Funai, un colpo secco. Non c’è altro modo. Non serve più». Ha solo mantenuto la sua disgustosa promessa.

Di questa volontà di potenza e istinto persecutorio dei bianchi occidentali aveva già scritto il giornalista americano Norman Lewis nei suoi leggendari reportage Niente da dichiarare (Adelphi), ma soprattutto in Genocidio (in Un’idea del mondo, EDT) quando gli indigeni durante la dittatura militare furono uccisi via aereo con la dinamite, con viveri imbevuti di arsenico, presi a mitragliate, 100 mila di loro annientati dal 1957 al 1969, i Maxacalì, i Pataxò ai quali fu iniettato il virus del vaiolo, i Bororo, tanto cari a Levi Strauss, ai quali fu vietato il culto dei morti, mentre i sopravvissuti furono consegnati a missionari protestanti e imprigionati in appositi centri di rieducazione, in parte trasformati in bordelli.

Le foto dell’epoca sono agghiaccianti, donne impalate, indigeni inermi legati, incatenati, torturati con la tecnica del “tronco”, the trunk, che schiacciava lentamente le caviglie delle vittime. Una storia oscena che tristemente e ciclicamente si ripete. La New Tribes Mission (ora rinominata Ethnos360 nel tentativo di ridarle una verginità) è stata decisiva durante le ultime elezioni presidenziali brasiliane, ma la sua sede è negli Stati uniti, dove riceve finanziamenti da lobbies e multinazionali interessate a impossessarsi delle ricchezze di intere regioni dell’Amazzonia, denaro con il quale “evangelizza” e fidelizza popolazioni povere, indifese, facendo il gioco del governo brasiliano, che è quello di liberare le terre per le piantagioni di soia, attività mineraria e allevamento del bestiame, tutte attività controllate dai potentati dell’agrobusiness. «Mettiamo a rischio le nostre vite e giochiamo il tutto per tutto per Cristo, con incrollabile determinazione fino a quando non avremo raggiunto l’ultima tribù, ovunque essa si trovi», queste le frasi deliranti che usano per spiegare il loro folle disegno.

Già in Paraguay negli anni ‘70 e ‘80, durante la dittatura di Stroessner, un gruppo di missionari fanatici di New Tribes Mission organizzò una brutale e cruenta “caccia all’uomo” per catturare i nomadi Ayoreo-Totobiegosode incontattati. «Gli Ayoreo furono trascinati fuori dalla foresta contro la loro volontà, ammassati in campi raccapriccianti, ridotti in schiavitù dai missionari, e costretti col terrore a rinunciare alle proprie credenze. Alcuni Ayoreo morirono nei giorni del contatto forzato per lo shock e le malattie contro cui non avevano difese immunitarie. Altri morirono in seguito, a causa di malattie che li affliggono ancora oggi», ricorda Fiona Watson, Direttrice del Dipartimento Ricerca e Advocacy di Survival International. «A partire dai primi anni ’80, Ntm effettuò vari tentativi segreti di contattare gli Zo’è, nel nord del Brasile, diffondendo influenza e malaria contro cui la tribù non aveva difese immunitarie. Tra il 1982 e il 1988, gli Zo’è persero circa un quarto della popolazione originale proprio in conseguenza delle epidemie”, mi racconta sdegnata, «I missionari raggiungono comunità indigene remote senza essere stati invitati, carichi di merci e medicine, ed equipaggiati di tecnologie costose, come ricetrasmittenti, telefoni satellitari, motori fuoribordo e velivoli ultraleggeri. Facilmente sono percepiti come persone ricche e potenti pronte solo ad aiutare».

Un altro pericolo secondo lei è un progetto di legge a lungo promosso da Atini, una ong fondata da Damares Alves, pastora evangelica che Bolsonaro ha nominato ministro per le Donne, la Famiglia e i Diritti umani. Se approvato, darebbe allo stato il potere di sottrarre i bambini indigeni alle loro comunità sulla base anche di un mero sospetto che ci sia il rischio che vengano effettuate pratiche che lo stato ritiene pericolose: «I gruppi evangelici sono noti per togliere i bambini indigeni dalle loro comunità con ogni genere di pretesti. È facile quindi capire come questa legge possa essere manipolata da missionari zelanti per dar vita a una nuova “generazione rubata”, come quella dei bambini Aborigeni Australiani tolti con la forza alle loro famiglie nel secolo scorso, con conseguenze devastanti».

Nel suo libro La caduta del cielo (Nottetempo) Davi Kopenawa, lo sciamano portavoce degli Yanomami, che incontrai a Boa Vista durante uno dei miei viaggi nei paesi della Foresta Amazzonica, quando raggiunsi il suo popolo nella foresta a Catrimani, racconta di come la sua comunità fosse stata costretta a costruire una pista d’atterraggio nella foresta per gli aerei di New Tribes Mission: «I nostri padri hanno sgobbato davvero molto per aprire questa pista… era penoso vederli per giorni e giorni sotto il sole rovente abbattere dei grandi alberi usando solo un’ascia… Quando un uomo si fermava per riposarsi un po’, si arrabbiavano e gridavano: ‘Torna al lavoro! Non rimanere senza fare niente! Se non lavori non riceverai nulla!’». Critica aspramente i missionari di Ntm e i loro modi violenti e brutali, che in quei momenti continuavano a dire agli Yanomami: «Non masticate foglie di tabacco! È peccato, la vostra bocca si brucerà! Non inalate la polvere di yãkoana, il vostro petto diventerà nero di peccato».

 

Yanomami incontattati (foto di Guilherme Gnipper Trevisan/Funai)

 

In questi ultimi giorni Davi è di nuovo intervenuto con un appello alle autorità brasiliane, lanciato durante una recente sessione del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, affinchè siano allontanati i cercatori d’oro che continuano ad agire illegalmente nelle terre demarcate del suo popolo, dove vivono anche i gruppi yanomami incontattati, i “Moxihatatea”: «Sono molto preoccupato. Potrebbero essere sterminati rapidamente… Senza ombra di dubbio, i cercatori d’oro li distruggeranno… li uccideranno sia con i loro fucili sia con le loro malattie, con la malaria e la polmonite». A maggior ragione adesso, con l’arrivo del Coronavirus, che potrebbe far aumentare pesantemente il pericolo di contagi costituito dalla presenza di migliaia di estranei all’interno del territorio Yanomami. «Siamo molto preoccupati per quanto potrebbe accadergli. Sono gli unici a prendersi veramente cura della foresta. Sono i Moxihatatea e tutti gli altri popoli incontattati dell’Amazzonia a continuare a prendersi cura di ciò che resta della foresta».

«Anche se oggi la situazione in Europa e nel mondo è molto difficile, non possiamo permetterci di abbassare la guardia» dice Francesca Casella della sede italiana di Survival. «Questo è, infatti, un momento estremamente pericoloso non solo per le tribù incontattate ma anche per i popoli indigeni in generale. Ci sono tanti governi e aziende pronti a sbarazzarsi di loro e, con i riflettori dei media e dell’attenzione pubblica puntati altrove, siamo sicuri che intensificheranno gli attacchi. Ma potete star certi che continueranno a trovarci sulla loro strada». Confermare Ricardo Lopes Dias al Funai secondo lei potrebbe riaprire alcune delle pagine più drammatiche e dolorose della storia brasiliana, «non possiamo. permettere che accada, bisogna intervenire, fare pressione sul governo brasiliano e informare la comunità internazionale».

Al contrario della chiesa evangelica, quella cattolica oggi invece svolge una funzione importante in Amazzonia in difesa dei popoli custodi, e come ha scritto papa Bergoglio in Querida Amazzonia: «Gli indigeni quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura, sempre che non si lascino ingannare dai canti di sirena e dalle offerte interessate dei gruppi di potere”. E ancora: «Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa». Come mi disse padre Carlo Zaquini alla Missione Consolata di Boa Vista: «Questo papa dice quello che noi volevamo dire da tempo, solo che lo dice meglio di noi».

 

SCHEDA

Il grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado, che ha lavorato negli ultimi dieci anni tra le tribù amazzoniche, e sua moglie Lélia Wanick Salgado, che disegna i suoi libri e mostre, hanno lanciato un appello al governo, al congresso e alla corte suprema del Brasile e alle autorità per agire rapidamente ed evitare così il contagio di queste comunità remote che hanno già sofferto a causa delle foreste in fiamme e dei fiumi avvelenati, oltre che per gli effetti della deforestazione. La loro situazione è doppiamente critica perché i territori riservati per legge all’uso esclusivo delle tribù indigene viene ora invaso dai minatori, dai taglialegna e dagli allevatori di bestiame. Queste attività illecite si sono accelerate nelle ultime settimane perché fuori controllo a causa dell’emergenza sanitaria. Gli intrusi illegali hanno portato il Covid-19 tra gli indigeni: per questo servono misure urgenti per proteggerli. Cinque secoli fa, questi gruppi etnici furono decimati da malattie portate dai colonizzatori europei. Da allora, le successive crisi epidemiologiche hanno ucciso la maggior parte delle loro popolazioni. Ora, con questo nuovo flagello che si sta diffondendo rapidamente in tutto il Brasile, i popoli indigeni, come quelli che vivono isolati nel bacino amazzonico, potrebbero essere spazzati via del tutto.