Per un ragazzo inglese come me, 007 ha rappresentato più di un eroe. Cresciuto negli anni 70, ho visto per la prima volta la spia britannica in televisione. A quell’epoca un film di 007 era un evento, anche quando veniva trasmesso in televisione e programmato per Natale o Pasqua, diventando un rito durante le vacanze. Sean Connery è stato sicuramente il mio primo Bond, seguito dal più moderno Roger Moore che sembrava più divertente, ma che faceva ridere così tanto i bambini perché il suo umorismo era simile a quello di uno zio ad una cena di famiglia. Non spiritoso in sé ma solo per tradizione.

«Solo per i tuoi occhi» è stato il mio primo film di 007 visto al cinema. Fu interrotto durante i primi tre minuti perché i lavori stradali fuori del cinema avevano interrotto la corrente. L’impatto di questo evento sulla mia giovane mente non può essere sovraestimato. Da quel momento in poi non sono più riuscito a rilassarmi durante l’inizio di un film: c’è sempre la possibilità che succeda qualcosa e che rovini tutto. Timothy Dalton e Pierce Brosnan sono stati i Bond che ho guardato con meno interesse: non necessariamente per colpa loro. Ero distratto dalla realtà e la nostalgia a quel punto della mia vita non era una forza irresistibile. Anche i film non erano un granché. Dopo la fine della guerra fredda, Bond rappresentava una soluzione che andava in cerca di problemi con poca convinzione, pubblicizzando orologi, macchine e vodka.

Con l’arrivo di Daniel Craig c’è stata subito la sensazione che il suo Bond non fosse il Bond del passato. Ricordava più Harry Potter. Un orfano che inizia la scuola senza amici e che ha bisogno di una madre un po’ autoritaria: Judi Dench. Già dal secondo film, «Quantum of Solace», è parso ovvio che i film erano connessi e invece di ripetere le stesse trame e essere essenzialmente la stessa persona, questo Bond cambiava: era un essere umano.

C’era ancora tanta violenza, c’erano ancora le donne, ma lui aveva il cuore infranto e ogni assassinio lasciava in lui un segno. Dopo solo tre film Bond pensa già di smettere di fare la spia, l’assassino. La sua lealtà a M è profondamente complessa; il suo ruolo politico è più che mai aperto alla discussione. Con una madre francese e un padre scozzese, James non è più inglese. Sembrava molto meno Brexit.

Di madre francese, cresciuto in Scozia, lavora all’estero e ogni volta che decide di abbandonare la sua licenza di uccidere si allontana il più possibile dall’Inghilterra. Perché una storia sia una storia deve avere una conclusione. Una storia senza conclusione è solo una situazione in fase di cambiamento. Come le sitcom e le soap. Ma i produttori di «No Time to Die» per fortuna hanno deciso di dare al Bond di Craig la dignità di una fine. Questo lo ha reso l’ultimo film più grande e più importante. Ciò che voglio dire è che come film va bene. Come fine della storia è assolutamente perfetto.