Nelle carte che riguardano il ricorso contro il fermo amministrativo della nave Mare Jonio, disposto il 5 aprile nel porto di Pozzallo, c’è un dettaglio che smentisce la versione fornita dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi l’11 del mese al Senato. Nella memoria redatta dall’Avvocatura dello Stato, infatti, è scritto che ad arrivare per prima sulla scena è stata l’imbarcazione umanitaria di Mediterranea, cosa peraltro dimostrata anche dai video che l’ong aveva pubblicato dopo i fatti.

La «guardia costiera» di Tripoli sostiene che la motovedetta Fezzan ha raggiunto la scena tre minuti dopo i soccorritori della Mare Jonio, questi ultimi affermano invece che i minuti trascorsi dopo l’inizio dell’intervento erano stati una ventina. In ogni caso non può essere andata come aveva detto il titolare del Viminale in parlamento: «Il gommone della Mare Jonio si è avvicinato alla Fezzan quando questa aveva già assolto all’obbligo di soccorso in mare».

La redazione consiglia:
Mediterranea: «Piantedosi mente» Lui: «È andata come dico io»

Di questa dichiarazione ha chiesto conto al ministro il segretario e deputato di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. La domanda nel question time di ieri alla Camera aveva l’obiettivo di chiarire sulla base di quali prove l’esponente del governo avesse sostenuto tale tesi. Piantedosi l’ha ribadita, ma senza rispondere nel merito. Dalla sua il ministro ha utilizzato la decisione del tribunale di Ragusa di non sospendere in via cautelare il fermo amministrativo della nave. Decisione che è arrivata poco prima del dibattito in Aula, ma che non tocca lo svolgimento degli eventi. Si basa invece sul fatto che la Mare Jonio non ha ottenuto dall’Italia, suo Stato di bandiera, un’autorizzazione a svolgere attività di ricerca e soccorso in maniera sistematica. Una questione complessa e ambigua, su cui risulta ancora pendente un procedimento davanti al Tar del Lazio.

In ogni caso il provvedimento giudiziario riguarda solo la richiesta di sospensione del fermo in via cautelare. Sul merito delle contestazioni che le autorità italiane rivolgono a Mediterranea si vedrà nell’udienza del 9 luglio. L’Avvocatura sostiene che la nave umanitaria ha rifiutato di farsi coordinare dalle autorità di Tripoli, anche se non sono state prodotte le comunicazioni che queste sostengono di aver avuto con l’equipaggio della ong prima che la motovedetta arrivasse sulla scena. L’unico documento fornito è la ricostruzione scritta dai libici in una mail.

La redazione consiglia:
Il giudice: quelli dei libici non sono soccorsi

In un caso analogo il tribunale di Crotone, sempre relativamente a un’istanza cautelare e dunque non ancora nel merito, ha detto chiaramente che la Libia non è un porto sicuro e che quelle realizzate dal personale a bordo delle motovedette che partono da Tripoli non possono essere considerate operazioni di soccorso, anche per le modalità con cui sono messe in pratica.