«Orbanisation»: orbanizzazione. Nell’analisi di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa nel mondo, pubblicata ieri, l’Unione europea è chiamata a confrontarsi con il tentativo della classe politica di ridurre sempre di più lo spazio di azione per il giornalismo indipendente. E il metro di paragone preso dall’ong per l’Europa è l’Ungheria di Viktor Orbán, dove «la radiodiffusione pubblica è stata trasformata in una macchina di propaganda» e «diversi media privati sono stati messi a tacere». Risultato: «Grazie all’acquisizione dei media da parte degli oligarchi con stretti legami con Fidesz, il partito al potere, quest’ultimo controlla ora l’80% dei media del paese».

L’UNGHERIA, che occupa il 67esimo posto (su 180) nella classifica guidata da tre paesi europei (Norvegia, Danimarca e Svezia), vede avvicinarsi proprio l’Italia, che scende di ben cinque posizioni, dal 41esimo al 46esimo posto, diventando così il peggior paese dell’Europa «occidentale» per libertà di stampa, finendo in piena «zona Orbán». In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, Rsf ha sottolineato come «alcuni gruppi politici alimentano l’odio e la sfiducia nei confronti dei giornalisti insultandoli, screditandoli e minacciandoli» mentre altri «stanno orchestrando un’acquisizione dell’ecosistema mediatico, sia tramite mezzi di informazione di proprietà statale sotto il loro controllo, sia attraverso media di proprietà privata acquistati da parte di uomini d’affari alleati».

QUESTO È IL CASO, citato espressamente nel report, dell’Italia di Giorgia Meloni, «dove un membro della coalizione parlamentare al potere sta cercando di acquisire l’Agi». Il riferimento è al tentativo di Antonio Angelucci, imprenditore della sanità, proprietario già di Libero, Il Giornale e Il Tempo e, soprattutto, deputato della Lega di rilevare dall’Eni – di cui lo stato è principale azionista tramite il Mef (4,7%) e Cassa Depositi e Prestiti (28,5%) – «la seconda più grande agenzia di stampa».

IN QUESTO SCENARIO, anche se «la maggior parte dei giornalisti italiani gode di un clima di libertà», a volte «cedono all’autocensura, sia per conformarsi alla linea editoriale della loro testata giornalistica, sia per evitare una causa per diffamazione o altre forme di azione legale». Il tutto aggravato, per i giornalisti di cronaca nera e giudiziaria, «dalla “legge bavaglio” sostenuta dalla coalizione di governo del primo ministro Meloni, che vieta la pubblicazione di un ordine di custodia cautelare fino alla fine dell’udienza preliminare».

L’ITALIA così è passata dal giallo all’arancione, da paese in cui la situazione per i giornalisti è «piuttosto buona» a «problematica», ed è in compagnia di Ungheria (67), Malta (73) e Grecia (88), i tre stati peggiori d’Europa. Ed è proprio il caso greco a dover ulteriormente preoccupare l’Ue. Qui «pochi imprenditori gestiscono la stragrande maggioranza dei media, pur essendo coinvolti in altri settori aziendali altamente regolamentati» e alcuni di loro «hanno stretti legami con l’élite politica del paese». Inoltre il portavoce del governo «è responsabile della supervisione dei media pubblici, il che mette in pericolo la loro indipendenza editoriale». Infine Rsf sottolinea come il Servizio di intelligence greco (EYP), guidato dal primo ministro, «è stato coinvolto nella sorveglianza dei giornalisti, molti dei quali sono stati presi di mira da “Predator”», un programma spyware altamente invasivo che una volta infiltrato in un dispositivo ha accesso al microfono, alla fotocamera e a tutti i dati all’insaputa dell’utente.

IL RISCHIO per l’Europa «orientale» (più l’Italia) è scivolare sempre di più verso la zona rossa dell’indice di Rsf, occupata stabilmente dalla maggior parte dei paesi asiatici, da alcuni dell’America Latina (Venezuela, Honduras, Nicaragua e Cuba) e dagli stati del Golfo Persico e del Mar Rosso. Soprattutto, il vero pericolo è quello di vedere un’Europa sempre più sotto quella che viene definita «l’influenza tossica del Cremlino», in un lento processo di orbanizzazione.

COME HA DENUNCIATO Anne Bocandé, direttrice editoriale di Rsf, «mentre più della metà della popolazione mondiale si recherà alle urne nel 2024, gli stati e le forze politiche stanno svolgendo un ruolo sempre minore nella protezione della libertà di stampa, minando il ruolo dei giornalisti o addirittura strumentalizzano i media attraverso campagne di disinformazione».