Una premessa forse ovvia, ma necessaria: nell’epoca della globalizzazione la nostra forma di vita non è la democrazia, bensì il capitalismo, che comporta la supremazia dell’economia sulla politica. Ma quale tipo di economia? Non certo quella fordista, bensì quella legata al primato dell’immaginario, cioè a quell’esperienza di vita sociale in cui la fascinazione e la seduzione dettata dai brand, dalla moda, dalla pubblicità e dai social media creano nuove forme di dominio suadenti, anche se non meno autoritarie.

QUESTO FENOMENO è l’ultimo esito del processo di «smaterializzazione» degli oggetti e della circolazione del denaro digitale nel sistema finanziario globale: qui l’economia è un sistema di segni – o di algoritmi – senza rapporto con la vita materiale, ma sulla quale ha invece effetti reali e decisivi. In questo contesto il denaro non ha limiti «fisici» ed è in grado di autoalimentarsi – pensiamo ai bitcoin o ai derivati – fino a produrre non solo una smisurata potenza economica e politica, ma anche un’eccedenza simbolica e pulsionale che caratterizza la dimensione magico-rituale del capitalismo contemporaneo, in grado così di mascherare la violenza e la pervasività globale del proprio dominio.
A questi temi è dedicato il volume Cybercapitalismo: fine del legame sociale? (Bollati Boringhieri, pp. 110, euro 14) di Emanuela Fornari, che riassume efficacemente queste trasformazioni del capitalismo: «il passaggio dalla formula merce-denaro-merce (m-d-m) alla formula denaro-merce-denaro (d-m-d) e infine, ai nostri giorni, alla formula (d-d), dal denaro al denaro, ma un denaro ormai codificato in valori bancari dotati di una mobilità world-wide».

ATTRAVERSO AUTORI quali Marx, Weber, Mauss, Polanyi, Baudrillard, Deleuze e Appadurai, il volume si concentra sui processi di autonomizzazione del valore da ogni riferimento all’uso e al bisogno: non si tratta di un fenomeno nuovo, visto che di «animazione delle cose» e di «uomini ridotti a maschere» parlava già Marx. Tuttavia nei mercati finanziari si verifica oggi un passaggio ulteriore, che crea meccanismi non trasparenti di soggezione che amplificano i processi «fantasmagorici» di «incantamento» del mondo, perché il denaro coinvolge elementi come il linguaggio e l’immaginazione che apparentemente non sembrano avere rapporti con le relazioni socio-economiche. Lungi dall’essere orientati dalla razionalità economica, gli individui vengono spinti alla ricerca del prestigio e del riconoscimento, con impulsi acquisitivi e irrazionali che li sprofondano nelle dinamiche del debito, condannandoli a una vita gravata dal consumo di beni e oggetti che non hanno nulla a che vedere con il bisogno e che non esistono nella loro materialità, bensì solo nella loro dimensione simbolica e ideologica: «se da una parte siamo colpevolizzati e ammoniti a causa dello sfacelo economico risultante dal nostro egoismo edonistico, dall’altra il sistema ci istiga a consumare sempre di più».

Ben più potenti e invasivi dei vecchi Leviatani statali, i mercati determinano forme di potere che, in modo suadente, producono soggettività flessibili e precarie non governate dal principio di realtà, bensì dalla pulsione illimitata al godimento. In questo modo il capitalismo pretende un adeguamento psicologico alla disciplina dettata dal credito al consumo (e quindi dal debito): gli individui sono così ridotti a «dividui», a soggetti scomponibili e modellati sulla base delle esigenze del capitale.
Questo fenomeno rappresenta un «aggiornamento» del concetto marxiano di reificazione, che ancora oggi mostra l’esistenza di una falsa coscienza dominata dall’ideologia del consumo: ogni soggettività (sia essa individuale o sociale) si presenta come un dato di fatto primario, naturale e oggettivo, nascondendo così la propria essenza storica. Queste forme di naturalizzazione che guidano il capitalismo digitale mettono però in crisi la concezione tradizionale secondo cui i sistemi di potere dominano contro la volontà degli individui: in questo caso le due polarità non entrano in conflitto, visto che il desiderio individuale verso la realizzazione narcisistica del proprio ego dispone l’individuo a porsi in un rapporto di servitù volontaria nei confronti dei sistemi di potere (resi suadenti dalla comunicazione social grazie agli influencer e cose simili), fino a prefigurare una tirannide universale che gode del consenso passivo delle masse.

QUESTA FALSA COSCIENZA dovrebbe però essere combattuta attraverso una comprensione concreta delle soggettività in quanto momenti della totalità storico-sociale. In questa direzione, negli ultimi anni, sul terreno del pensiero filosofico si sono realizzati segnali di risveglio (pensiamo alla nuova fortuna del pensiero marxiano e gramsciano negli Stati Uniti). Ma sul terreno della politica?