Una casa che rappresenta la trama di mille mondi (vicini e lontani), le cui pareti pullulano di storie, narrazioni incrociate, luoghi vissuti, colori e meditazioni lungo i percorsi selvatici del pensare, cercando la libertà e, soprattutto, la felicità. Dipingere, coltivare una stanza tutta per sé costruendola giorno dopo giorno con tenacia, a dispetto dei tempi. Il ritratto di Anna Paparatti restituito dalla figlia Fabiana Sargentini nel documentario La pitturessa è quello di una donna che ha amato appassionatamente il versante ludico dell’arte (non a caso uno dei primi personaggi nominati nel film è Pino Pascali, l’indomabile bricoleur). Un’artista che, pur nell’intimità del racconto, in quello scambio madre-figlia che spesso si svolge in stanze private, parlando di stoffe preziose, ricamate a mano o di ricordi d’infanzia, tra confessione e orgoglio del proprio essersi resa potentemente visibile e mai ancella nell’età adulta, ha optato per un’identità «mobile»: dai numerosi viaggi – soprattutto in India – a quel dinamico e dadaista gioco dell’Oca come geometrico nonsense della realtà; in fondo, una metafora della vita stessa e di quel procedere a zig zag nella propria cronologia esistenziale.

LA SUA AVVENTURA, personale e «collettiva» (insieme al compagno affettivo e professionale Fabio Sargentini) è stata un’immersione totale in un’avanguardia culturale che ha scritto le migliori pagine della storia dell’arte italiana (e non solo) lungo l’arco di alcuni decenni. Anna Paparatti spiega che ciò che visivamente oggi rimane della galleria L’Attico – dai poster alle locandine fino agli inviti creativi per le performance, mostre, atti teatrali – è in gran parte una sua creazione. C’era lei dietro a quell’archivio stupefacente, a quel repertorio di immagini unico.

NATA IN CALABRIA e poi approdata a Roma per studiare all’Accademia (sarà Toti Scialoja ad aprirle gli «occhi interiori», non tanto attraverso la sua pittura, ma più per quello che diceva e faceva vedere, stimolando il superamento del limite), Paparatti si racconta e viene raccontata da alcuni compagni di viaggio e critici. Ci sono Pizzi Cannella, Gianluca Marziani, la direttrice artistica di Dior Maria Grazia Chiuri, Luca Padroni e Elena Del Drago che nel 2021, presso la sua galleria romana, ha avuto il merito di dedicarle una personale di profonda riscoperta. E c’è naturalmente la regista e testimone Fabiana Sargentini, che da piccola deve fare i conti con quei genitori «strani», cercando un baricentro di normalità tra sfilate di moda, mandala, palcoscenici improvvisati, vernissage e azioni provocatorie degli artisti. Creativa pure lei, ha forgiato con le immagini del film la chiave per uscire dall’impasse: l’ironia.