Voci consistenti raccontano a Kiev di uno scambio particolarmente duro tra il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il capo della Casa Bianca, Joe Biden. I fatti si riferiscono alla serata fra giovedì e venerdì, e all’ultimo colloquio telefonico fra i due. In quella occasione Biden avrebbe alzato nuovamente i toni sulla possibilità di una invasione russa.  «Succederà entro la metà di febbraio, quando il terreno è ghiacciato. Preparatevi all’urto». Nelle stime precedenti si era parlato di dicembre e poi di gennaio. Sono andate entrambe deluse.

Alla base delle nuove considerazioni un report del Pentagono su movimenti «non marcati» di truppe lungo il confine, e forse la lettura di cronache di guerra composte prima che l’Ucraina avesse una rete, oggi peraltro piuttosto efficiente, di strade asfaltate. A quel punto Zelensky avrebbe reagito in modo deciso, chiedendo a Biden di «calmare» i continui avvertimenti su una guerra imminente.

Una conferma a queste ricostruzioni è arrivata ieri pomeriggio, nell’incontro di Zelensky con i giornalisti stranieri, sono decine, arrivati a Kiev in settimana proprio sull’onda degli allarmi lanciati dalla Nato e dagli Stati Uniti: in città è diventato praticamente impossibile trovare un traduttore senza lavoro. «Sono il presidente dell’Ucraina, vivo qui, e sono convinto di conoscere meglio di tutti i dettagli», ha detto Zelensky rispondendo alle domande sulla credibilità della minaccia russa. «L’occidente non deve creare il panico».

Aveva già affrontato il tema, e il manifesto ne ha dato conto, ma non era mai stato così diretto. Dopodiché, ha ripetuto che il rischio più grande per il paese è l’instabilità interna. «Quello è il vero punto debole». Come dire: esiste sempre il pericolo di una rivolta come quella che nel 2014 ha portato alla fuga dell’ex presidente Viktor Yanukovich, ed esiste anche il rischio che le eccessive tensioni degli ultimi giorni spingano qualche movimento bene organizzato a manifestare in modo fisico il disappunto nei confronti del governo e della strategia scelta per affrontare questa crisi. È in questo scenario che si deve muovere Zelensky.

La sua protesta non è certo un buon segnale per l’Amministrazione Biden alla vigilia del vertice del Consiglio di sicurezza dell’Onu che proprio gli Stati Uniti hanno chiesto di convocare lunedì per discutere di Ucraina. Il segretario di Stato, Antony Blinken, si è rivolto al collega cinese, Wang Yi, e gli ha chiesto di esercitare tutta l’influenza possibile sui russi proprio in vista di quell’appuntamento.

Non avrebbe, però, ottenuto grosse concessioni, stando almeno alla versione dei media di Pechino, secondo cui Wang Yi ha invitato, sì, tutte le parti a «restare calme e non fare nulla che possa stimolare le tensioni», ma ha anche affermato che «la sicurezza non può essere garantita rafforzando o espandendo i blocchi militari».

Insomma, una versione degli eventi molto simile a quella del Cremlino, tenuto conto anche del richiamo fatto da Wang al «rispetto degli accordi firmati a Minsk nel 2015», accordi che l’Ucraina non è ancora riuscita a rispettare.

Non c’è dubbio alcuno che in questa fase le leadership di Russia e Cina – in uro conflitto con gli Usa sulla vicenda Taiwan – siano più vicine rispetto al passato sul modo di intendere il rapporto fra le grandi potenze sulla scena internazionale.

Decisamente più articolata la posizione dei governi europei. La Germania è impegnata nella difesa dei suoi interessi economici da quello che in alcuni settori della società è considerato un attacco agli interessi nazionali. Un gruppo di imprenditori tedeschi sarà ricevuto al Cremlino la settimana prossima, e il cancelliere, Olaf Scholz, discuterà il dossier il 7 febbraio nel suo incontro alla Casa Bianca con Biden: in cima all’agenda il futuro del gasdotto Nord Stream 2.

Il presidente ungherese, Viktor Orban, ha fatto sapere che sarà a Mosca martedì e proporrà a Putin di aumentare le forniture di gas dirette al suo paese. Sul fronte opposto i paesi baltici, nei quali Biden vorrebbe inviare 8.500 militare per rispondere alla minaccia russa. In una intervista al Financial Times il ministro della Difesa lettone, Artis Pabrikis, ha accusato apertamente la Germania di «ipocrisia» e di avere «rapporti immorali» con Russia e Cina, e inoltre di mettere in pericolo l’unità della posizione europea.