Viktor Yanukovich, ha comunicato il suo ufficio stampa, è malato, con febbre alta. L’opposizione non gli crede. Dice che sta solo comprando tempo. Può darsi che sia così. È il capo dello stato a presiedere i negoziati con la stessa opposizione e non è da escludere che dopo l’approvazione della legge sull’amnistia per le persone arrestate dall’inizio della manifestazioni, il 21 novembre, voglia defilarsi e attendere le mosse dagli avversari. D’altronde l’amnistia, votata nella tarda serata di giovedì, è vincolata allo sgombero dei palazzi della capitale e delle sedi dei governatorati, nella parte occidentale del paese, ancora occupati. Si richiede anche la rimozione a Kiev delle barricate su ulica Grushevskogo, la via che ha visto gli scontri più violenti (finora sei i morti). Tutto questo va fatto, sulla carta, entro 15 giorni dall’entrata in vigore della legge, che Yanukovich deve ancora vidimare. Il provvedimento, comunque, precisa che si potranno continuare a tenere proteste pacifiche.

Vitali Klitschko, Arseniy Yatseniuk e Oleh Tyahnybok, i tre capi dell’opposizione, hanno risposto picche. Dicono che l’amnistia, un atto unilaterale del Partito delle regioni di Yanukovich (le forze dell’opposizione non l’hanno votata), equivale a tenere in ostaggio le centoquaranta persone ancora agli arresti. Ma la loro posizione è scivolosa. Se non chiedono ai loro di sgomberare possono dare modo a Yanukovich di (ri)usare il pugno duro. Se invece sgomberano, rischiano di non portare a casa quelle che, a loro avviso, sono le condizioni irrinunciabili che andavano agganciate all’amnistia: voto presidenziale anticipato (la data naturale è febbraio 2015) e riforma della costituzione, con più poteri al parlamento e meno alla presidenza.

Sul secondo punto potrebbe nascere una commissione apposita. Sul primo, buio pesto. Non è stato mai preso in considerazione da Yanukovich. Almeno non alla luce del sole. Del resto, tatticamente parlando, il presidente, benché ampiamente screditato, deve tenere sotto pressione l’opposizione. L’amnistia rientra in questo schema, alla pari delle recenti dimissioni del premier Mykola Azarov. Yanukovich vorrebbe che l’opposizione entrasse nel nuovo esecutivo (quello uscente può restare in carica 60 giorni). Ma Klitschko e Yatseniuk, che sabato scorso erano stati invitati a compiere questo passo, non ne vogliono sapere. Se lo facessero verrebbero anestetizzati. Senza contare che la piazza rumoreggerebbe o peggio. Ma se continuassero a dire no correrebbero il rischio di passare come quelli che, rifiutando ostinatamente il compromesso, posto che le proposte di Yanukovich sono più che altro trabocchetti, lascerebbero la situazione così com’è, polarizzata e con tutte le possibili conseguenze del caso. Insomma, la loro situazione non è delle più facili, considerando anche che l’Unione europea, stando comunque dalla loro parte, s’è espressa a favore di una via d’uscita concordata dalla crisi.

Intanto, dopo Petro Poroshenko e Rinat Akhmetov, un altro oligarca di primo piano, Dmytro Firtash, sospettato più volte di intrattenere contatti eccellenti con l’underworld ucraino, ha esortato le parti a trovare una soluzione condivisa alla crisi. Gli oligarchi detengono una larghissima fetta della ricchezza complessiva del paese e, benché si schierino sull’uno o sull’altro fronte, sono uniti dalla volontà di blindare lo status quo. Anche stavolta, sembrerebbe, non si smentiscono.