L’agenzia anti-droga (DEA) e il Procuratore Generale statunitensi hanno proposto di spostare ufficialmente la marijuana dalla Tabella I alla Tabella III della legislazione vigente sui narcotici. In linea con le raccomandazioni delle autorità sanitarie nazionali, sollecitate mesi fa dallo stesso Biden, la decisione è tanto attesa quanto di portata storica per lo scardinamento del controverso Controlled Substances Act in vigore da oltre mezzo secolo (poi adottato variamente nel resto del mondo). Lo ha sottolineato fra gli altri David Culver, vice-presidente del gruppo industriale U.S. Cannabis Council: «Il passo più significativo nella riforma sulla cannabis della storia moderna e una chiara spinta verso la legalizzazione a livello federale».

Attualmente la marijuana è infatti inclusa nella classificazione più restrittiva, la Tabella I (sostanze prive di valore terapeutico e a forte rischio d’abuso, con pene draconiane per l’uso ricreativo), insieme ad eroina, psichedelici, amfetamine. Per quelle incluse nella Tabella III se ne riconosce invece l’uso medico e la scarsa potenzialità di dipendenza fisica o psicologica; è il caso di oppioidi, ketamina, steroidi e perfino del Marinol, versione sintetica del THC spesso prescritto per il trattamento di nausea da chemioterapia e inappetenza dovuta all’AIDS.

Con l’effettivo cambio di tabella sarebbe garantito l’uso dietro prescrizione medica e si darebbe via libera alla ricerca scientifica. Le aziende del settore avrebbero altresì accesso a sgravi fiscali (ma non alle auspicate facilitazioni bancarie) e a maggiori spazi di manovra nel mercato borsistico Usa – finora possibili solo in Canada, dove la cannabis è legale dal 2018, secondo Paese al mondo dopo l’Uruguay.

Va chiarito che nell’immediato ciò non comporta alcun cambiamento a livello legislativo: l’eventuale nuova classificazione ha tempi lunghi e richiede il beneplacito di altre agenzie governative, un periodo di valutazioni pubbliche, il ritardo dei cavilli burocratici. Non a caso alcuni attivisti lo giudicano comunque un passetto da lumaca, ritenendo che la perdurante illiceità delle norme federali interferisca con i programmi di segno opposto implementati a livello statale (sono 38 gli Stati in cui è previsto l’uso personale e la vendita per gli adulti in base a diverse formulazioni). Motivo per cui il gruppo parlamentare democratico ha presentato un’ulteriore proposta di legge per annullare definitivamente ogni divieto sulla cannabis, mentre il fronte repubblicano ha già avviato una raccolta-fondi a sostegno di interventi legali per bloccare sul nascere la proposta della DEA. La quale fa seguito alle aperture già promesse da Biden nella campagna elettorale nel 2020 e reiterate durante lo State of the Union del marzo scorso con un riferimento preciso: «Nessuno dovrebbe andare in galera solo per l’uso o il possesso di marijuana».

E se per qualcuno non si tratta altro che dell’ennesima strategia tesa a raccattare voti alle presidenziali del prossimo novembre, molte fonti e testate mainstream sembrano invece accogliere con favore l’intera manovra, a riprova di un’istanza anti-proibizionista sempre più urgente e sostenuta dai due terzi della popolazione. Anche perché, tra i pochi ma utili effetti pratici dell’eventuale riclassificazione, si prevede un flusso di investimenti nel relativo settore imprenditoriale, finora statico ma valutato fino a 28 miliardi di dollari.

Forse ancor più importanti le prevedibili ricadute a livello internazionale, vieppiù ora che un altro pezzo grosso come la Germania ha detto sì alla regolamentazione. Un primo e concreto segnale di riforma che potrebbe stimolare altri Paesi, variamente interessati o vicini alle politiche Usa, a cavalcare l’inevitabile vento del cambiamento.