Tagli? Ma quali tagli? Si chiamano «accantonamenti tecnici». Sono i 75 milioni di euro che il governo Renzi preleverà dal fondo ordinario di finanziamento dei 66 atenei italiani tra il 2014 (30 milioni) e il 2015 (45 milioni). «Faremo di tutto per non applicarli – ha assicurato la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini – Per ragioni di copertura finanziaria abbiamo dovuto mettere quella voce a bilancio, ma siamo al lavoro per trovare all’interno del nostro ministero il risparmio che ci consentirà di non toccare il Fondo ordinario. Siamo a buon punto».

Tradotto: nella bozza del Decreto legge spending review diffusa nella serata di venerdì scorso, l’articolo 52 comma 6 che sancisce i nuovi tagli all’Ffo dopo il quinquennio 2008-2013 sono stati elencati per finta. Sono «contributi figurativi» per assicurare l’esistenza delle incerte coperture finanziarie (un totale di quasi 7 miliardi di euro per il 2014) al bonus elettorale di Renzi sugli 80 euro in busta paga. Dunque, i tagli esistono, e vengono rinominati, anche se i tecnici del Miur stanno lavorando per trovare la somma non smentita dal governo.

Si presume che questi 75 milioni di euro non verranno tagliati agli alti dirigenti del Miur. Saranno anche pagati bene, ma chiedergli questa cifra è un’esagerazione. La caccia al tesoro terminerà comunque con lo scalpo di nuovi «risparmi». Anche se il fondo per gli atenei, tagliato di 1,1 miliardi di euro annuo tra il 2008 e il 2013, verrà risparmiato, un’altra voce di spesa verrà colpita. Sempre che il governo non esibisca un’altra bozza dove rimescoli le carte del suo poker.

Fare il ministro dell’istruzione in Italia è un mestiere difficile. Ci vuole una straordinaria inventiva nel trasformare tagli al bilancio in monumenti al progresso. La versatilità linguistica è uno dei prerequisiti valutati nei curriculum di chi viene nominato allo scranno.
Da linguista Stefania Giannini deve senz’altro conoscere il ruolo dei sinonimi. I 75 milioni di euro «accantonati» avrebbe potuto chiamarli anche sfondamenti tattici, risanamenti decostruttivi, ricucimenti taglienti, seguendo la logica paradossale dell’«austerità espansiva». Per questa pseudo-teoria economica propagandata da Alberto Alesina e Silvia Ardagna più tagli alla spesa corrispondono ad un aumento della crescita. L’intero impianto della «manovra» di Renzi e Padoan segue questo schema, nonostante il valore «scientifico» della teoria sia stato sbugiardato dal 2010.

Non diversamente dai suoi predecessori, Giannini è specialista nell’arrampicata degli specchi. Come lei, anche Maria Chiara Carrozza appena arrivata a Viale Trastevere nel 2013 giurò che non avrebbe tagliato un euro altrimenti avrebbe rassegnato le dimissioni. Mise qualche spicciolo sull’assunzione di 69 mila docenti e personale Ata in tre anni – un numero inferiore rispetto al triennio precedente – pescando i soldi dall’aumento delle tasse sugli alcolici e da un taglio più che simbolico al sussidio Aspi per i disoccupati. Carrozza fu sorpresa quando il Mef chiese a 90 mila docenti di restituire 150 euro di scatti di anzianità del 2013, accettando una soluzione di compromesso: prendere i 350 milioni di euro necessari dal fondo per il miglioramento dell’offerta formativa che serve a finanziare attività e progetti a supporto della didattica scolastica. Un altro esempio di «austerità espansiva». In più, i ministri dell’Istruzione sono di solito distratti. Oppure credono nelle buone maniere. Ad esempio, Maria Stella Gelmini, avvocatessa esperta in conti pubblici e politiche della conoscenza. Nel 2008, a Porta a Porta, nei giorni del varo della finanziaria che tagliò 9,5 miliardi di euro a scuola (8,4) e università sostenne che il suo settore sarebbe stato salvaguardato e i tagli avrebbero colpito ben altre dissolutezze di quei lazzaroni che lavorano nel pubblico. La realtà ha dimostrato il contrario, ma, ancora oggi, se interrogata, per Gelmini quei tagli non ci sono mai stati.

Una disattenzione ha colpito Giannini alla presentazione dell’ultimo Documento di economia e finanza. Il testo conferma il blocco dei contratti al personale della scuola fino al 2017 compreso. E preannuncia l’allungamento fino al 2020. Gli stipendi di insegnanti e personale Ata avranno così finanziato per 10 anni l’austerità fiscale e il rigore di bilancio, cioè le uniche e vere politiche economiche in vigore. Giannini si è detta «sorpresa» di questi tagli. Graziano Del Rio, che al governo ci sta per fare i conti, li ha confermati. Anche in questo caso i «tagli» non esistono. Sono rimossi. Stessa storia per quelli agli atenei. Sono i primi dopo il grande falò di Tremonti e Gelmini. Prima del varo della spending review Giannini non ne sapeva niente, poi ha detto che si tratta di «accantonamenti».

Resta da capire se Giannini sia la stessa persona che, non più di un mese fa a margine della presentazione del rapporto Anvur sullo stato dell’università 2013, minacciò la crisi del governo se Renzi non avrebbe rifinanziato l’università. Dopo i tagli, è stato calcolato un fabbisogno da 3 miliardi di euro all’anno in più degli attuali 6,83 miliardi di euro. Per il Cun entro il 2018 occorre assumere 6 mila professori ordinari, 14 mila associati e 9 mila ricercatori a tempo determinato. Con la campagna elettorale per le europee il ministro candidato a Bruxelles deve averlo rimosso.